Italia: un disfacimento annunciato

Un sistema politico al collasso, fra litigi e rancori. Un vulnus per la democrazia

Ecco come fare scempio della politica. Ecco cosa accade quando la diffusa mediocrità sociale – da intendersi come violenza verbale e fisica (con interi quartieri, come rivelano fatti recenti, controllati da malavitosi, con tanto di pedaggio da pagare per attraversare le “loro” zone), insulsaggine cerebrale, attitudine alla menzogna e alla corruttela, relativismo diffuso, per cui ogni azione, anche la più vile, grave (come il bullismo, per fare un esempio), trova una giustificazione – si riverbera in una classe politica men che mediocre, arruffona, dove due contendenti annunciano con vanagloria “abbiamo vinto”, mentre nessuno ha vinto, ovvero nessuno è in grado di guidare una maggioranza parlamentare.

Oltre due mesi dalle elezioni, fiumi di parole su ogni tipo di media, portavoce più o meno ufficiali che ripetono il loro mantra stucchevole, in cui si annuncia che “prima di tutto viene l’interesse della nazione, dei cittadini…”. E via di questo passo, con diatribe all’interno ora di questo, ora di quello schieramento – anche fra chi ha perso, atteggiamenti fra il tracotante e il falso conciliante. E politologi e osservatori a scervellarsi, talvolta, per fornire spiegazioni, possibili soluzioni, che spesso non lo sono per nulla.

Ora forse i vincitori hanno trovato un’intesa per formare il governo, con un diniego alla proposta del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il quale aveva avanzato l’ipotesi di un governo istituzionale costituito da esponenti di prestigio, perché le teste pensanti, che hanno cultura e competenza, non mancano e ben vengano su un proscenio tanto impoverito. Ma subito la levata di scudi dei vincitori contro tale ipotesi.  Ora vedremo se, come e quanto durerà l’accoppiata populista.

Ma qui vogliamo segnalare alcune deformazioni politico sociali che pare sfuggano ai più.

Luca Ricolfi, sociologo, docente di Analisi dei dati all’università di Torino, proprio su questo giornale, aveva ravvisato un salto all’indietro ultra trentennale, nel considerare l’esito delle ultime elezioni politiche: “Per certi versi, l’Italia del 4 marzo è l’Italia delle ultime elezioni della prima Repubblica, quelle del 1992. Allora, secondo gli studiosi (Giacomo Sani in particolare), l’Italia era risultata divisa in tre: Padania, egemonizzata dalla Lega (Forza Italia non era ancora nata); Etruria (Regioni rosse), egemonizzata dal Pds; Mezzogiorno, egemonizzato dalla Dc. Oggi è sostanzialmente lo stesso, con i Cinque Stelle al posto della Dc. Sul piano del radicamento dei partiti l’unica differenza importante è che ora il Mezzogiorno elettorale tende a incorporare anche le Marche”.

Una diffusa etica negativa

Un’Italia divisa, dove prevale una ricerca del “tirare a campare” alla meglio, per le classi più deboli, con uno sguardo neanche convinto ai politici, ai quali giunge un voto sub iudice: se non c’è soddisfazione, la prossima volta si cambia. O non si va neanche a votare.

Non c’è senso dello stato, non c’è spirito di appartenenza, non c’è condivisione di principi e valori che pure sono ben delineati anche nella nostra carta costituzionale. Al contrario, si è via via diffusa un’etica negativa, ove sono i disvalori a primeggiare, non solo tollerata ma, anzi, indicata come punto di riferimento in una società che si annuncia nuova, e lo è, ma debosciata e inaffidabile in alcuni suoi attori, che dovrebbero essere invece un punto di riferimento in termini di attendibilità: molti i politici, ma non pochi anche gli imprenditori e i liberi professionisti, dediti a cercare la soluzione purchessia ma in ogni caso foriera di profitti, anche in termine di immagine, ci mancherebbe!

Sia ben chiaro: la gran parte delle persone si dà da fare per far sì che si possa condurre una vita decorosa e cerca di garantire ai figli un futuro rassicurante. Ma difficoltà e economiche, in primis, e scarsità di modelli di riferimento non giovano a una pianificazione fiduciosa del domani.

Comunque siamo in presenza di un disfacimento annunciato. Fin dai tempi di Francesco Guicciardini, storico e politico italiano del XVI secolo. Roberta de Monticelli, docente di filosofia all’università Vita-Salute San Raffaele di Milano, nel suo libro La questione morale (Raffaello Cortina ed., 2010), con ampi riferimenti a quanto aveva scritto Francesco Guicciardini, nei suoi Ricordi, sottolinea come per il popolo italico appaia “curioso che ‘maneggi’ e aspirazione alla ‘grandezza’ non facciano alcuna differenza, concettuale e morale. Comunque, se poi la politica dell’apparire oltre un certo limite fa un po’ schifo, pazienza: ‘el contrario ti nuoce’”. E poco oltre la studiosa si sofferma su una considerazione, proprio rilevando un totale disincanto del Guicciardini di fronte ai comportamenti umani, e cioè “ti stringe il respiro, leggendo le sue pagine, un senso di mancanza di prospettive, di ristrettezza della visuale, inchiodata al solo presente: quasi la sola politica possibile, per il governante come per l’uomo comune, fosse quella del giorno per giorno, attenta soprattutto a profittare dei vantaggi a breve termine, nella noncuranza dei loro effetti, per nefasti che siano, a lungo termine… Riassumendo: rinunciare a vantaggi presenti per evitare grandi mali a chi verrà dopo di noi? E chi se ne importa!”. “Sembra incredibile, ma questo bel prontuario di regole immorali fa parte del nostro comune DNA, a quanto pare, fin dai primi albori della modernità. Molto prima che fosse fatta l’Italia, gli italiani – o almeno quelli di loro che contavano e si esprimevano – erano già fatti così”. Già, e sono fatti così ancora oggi, molti di coloro che pretendo di “guidarci”, di offrirci “stabilità, senza più corruttela”.

Così, qui e ora, non stiamo risolvendo nulla. Con un vulnus per la democrazia di ampia portata: i cittadini hanno sì facoltà di esprimere le proprie preferenze affinché si giunga a una composizione del parlamento e quindi del governo. Ma se c’è una legge elettorale che, di fatto, rende ingovernabile il Paese perché i due contendenti la palma del vincitore non hanno i numeri per governare – lo si sapeva già dai sondaggi… -, la scelta democratica diviene un esercizio sterile. E il numero degli astenuti cresce.

Quell’articolo 49 della Costituzione

Lo strumento legislativo per la verità ci sarebbe stato, per far sì che il percorso di definizione delle Camere divenisse virtuoso. Ce lo ricorda Ferruccio De Bortoli – Corriere della Sera, lunedì 7 maggio – partendo dall’articolo 49 della Costituzione, quello che fa riferimento alla formazione dei partiti “per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. A questo articolo era ispirato il disegno di legge a firma di Matteo Richetti (Pd). Il ddl era stato approvato alla Camera, ma fu fermato al Senato. Prevedeva, sì, l’abolizione dei vitalizi – motivo basilare per lo stop deciso al Senato – ma prevedeva anche regole per il “funzionamento degli organi interni” e anche per la “selezione dei candidati”. In buona sostanza, un disegno di legge che si ispirava all’articolo 49 della Costituzione. “Oggi ci domandiamo – sottolinea De Bortoli -, nel pieno di una crisi post elettorale, se una buona attuazione dell’articolo 49 non ci avrebbe aiutato. Non solo nel garantire una maggiore trasparenza dei partiti ma anche nello svelenire e incanalare gli animi nelle lotte di potere. Nel rendere più consapevoli, di conseguenza, le scelte dei cittadini”.

Già, le scelte dei cittadini, milioni di voti forse inservibili.

Allora: nuovo governo? Forse sì… Anzi, vediamo come va. Legge elettorale? Da rivedere, subito… O quasi. Così il Paese scivola alla deriva con l’incombenza di un Def da presentare in tempi prossimi, con il rischio di un aumento dell’Iva al 25% per il prossimo anno, e un’immagine dell’Italia sempre più oscurata, rinchiusa in quello “scenario ottocentesco” paventato da Mattarella, senza alcuno sguardo di profondità ma con velleitarie intenzioni di cambiare “radicalmente” il Paese. “Inizia la terza Repubblica”, lo slogan più diffuso. “Cercate di promettere un po’ meno di quello che pensate di realizzare, se vincete le elezioni”.  Questo auspicava un vero statista: Alcide De Gasperi. Come stonano quelle parole nella babele politica odierna. Purtroppo.

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