CASA VERDI, UNA PREZIOSA TESTIMONIANZA TRAMANDATA AI GIOVANI

Non solo anziani, infatti, nella fondazione voluta dal Maestro.
Una convivenza proficua

(Lo.Cos.) Non ci si sarebbe nulla da stupirsi se varcando la soglia di Casa Verdi si sentisse suonare un pianoforte, piuttosto che udire la soavità di una voce lirica. Invece no, ci si meraviglia sempre di fronte alla musica e il cuore si apre a una pace primitiva. Si capisce all’istante che si sta entrando in un’altra dimensione.
Giuseppe Verdi ha voluto lasciare a tutti noi qualcosa più che un semplice ricordo musicale. Ha voluto che la musica non restasse solo lì, accanto a chi ha avuto la fortuna di vivere una vita nel canto o nello suonare uno strumento, ma che proseguisse il suo percorso ovunque: nelle strade, piazze, nelle scuole, in ogni dove. Questo ha voluto Giuseppe Verdi, che non ci dimenticassimo di quanto la musica possa essere guaritrice benevola di ogni anima. E questo suo immortale ricordo lo abbiamo solo noi. Non esiste al mondo un posto come Casa Verdi.
Quando si pensa a una Casa di Riposo si abbina subito l’immagine di un anziano che si gode, in qualche modo, il meritato riposo, appunto. Ma in Casa Verdi non è così, perché all’interno non abitano solo anziani che hanno avuto un passato musicale, ma anche giovani studenti, talentuosi, che studiano musica al Conservatorio. E insieme godono gli uni delle esperienze degli altri, si confrontano e si adottano a vicenda. Attualmente alloggiano sedici ragazzi, divisi in numero pari per sesso. E non è l’unica testimonianza della generosità di Verdi: nel 1887 fu inaugurato, a Villanova sull’Arda, un ospedale fatto costruire interamente con i suoi denari. Solo così si capisce il perché quando, nel 1901, Giuseppe Verdi, muore, la gente ricopre l’intera via di fieno per attenuare il rumore delle carrozze che transitavano.

Un’accoglienza amichevole

Ore 9,30. Mi accoglie Biancamaria Longoni, l’assistente di Direzione di Casa Verdi, mi accompagna, con pazienza, nei labirinti della Casa. E cominciamo dal giardino che si allunga verso la cripta, dove Verdi è sepolto insieme a sua moglie Giuseppina Strepponi e dove si celebrò, solo tempo dopo la sua dipartita, il suo funerale. Sì, perché lui non lo volle un funerale solenne. Lo voleva senza fiori, né musica e il rito doveva essere celebrato all’alba o al tramonto, per non disturbare la vita cittadina. E fu così. Alle sei del mattino del 1901, un solo prete, un carro trainato da un solo cavallo si avviava verso il Cimitero Monumentale. In un secondo momento la salma venne traslata dal Monumentale alla Casa di Riposo di Piazza Buonarroti; con tutti gli onori di Stato che meritava e una folla sconfinata. Arturo Toscanini, in quell’occasione, diresse 800 musicisti che salutarono il Maestro con “Va pensiero”.
Noto, senza stupore, due rose rosse sulla sua tomba. “Qualcuno le porta sempre”, mi dice Biancamaria.
Ci incamminiamo all’interno dove si trova la sala museale adornata di oggetti artistici di ogni genere, dai quadri alla sua spinetta. L’interno di una vetrata conserva il cilindro, il cappello da passeggio, la camicia bianca del compositore. E qui l’emozione si tocca con mano. Si dovrebbe scrivere un libro a parte per raccontare tutti i dipinti appesi ai muri. Un tesoro prezioso di Storia e amore.


(Nella foto: Stefania Sina)

In una sala buia proiettano un film biografico di un musicista importante. Per non disturbare, a passo felpato ci avviamo verso i laboratori. Le signore ospiti si occupano di lavori manuali, creazione di gioielli, lavori di maglia, di pittura. Da una porta semiaperta scorgo Stefania Sina, ex cantante lirica, non si dice l’età di una signora ma li porta tutti in bellezza autentica. Sta dipingendo nel suo laboratorio circondata dalle sue opere, 70 quadri che mette in vendita. Il ricavato lo dà a due bimbe adottate a distanza. Resto da sola con lei qualche minuto e le faccio subito una domanda.

Oltre il canto anche la pittura… Come le è venuto il desiderio di dipingere?

Da piccola, a scuola, la maestra un giorno disse: disegnate una gabbia. Io fui l’unica a disegnare anche l’uccellino all’interno. Forse era un presagio. I quadri li vendo e il ricavato lo mando, attraverso l’assistente sociale, a due bambini che ho adottato nello Zimbawe. Rilascio anche il certificato di autentica a garanzia. Però… la musica è stata, ed è tuttora la mia vita. E questa è la mia casa. La mia camera dà proprio sulla piazza Buonarroti, vede? Ho il mio piccolo angolo d’ufficio con il pc, il letto, tutte le cose che mi servono. Abbiamo un sacco di cose da fare qui. Ho fondato un giornale che esce quando può, (sorrido), tutto a mie spese. Dove si racconta quello che succede qui e altrove. Ne faccio stampare 500 copie. Le distribuisco anche in Comune al Sindaco, le spedisco ovunque possa farlo. Questo posto ci tiene vivi. Ho anche un sito internet. Come vede non si riposa tanto qui. E poi ci sono i giovani… vada a intervistare anche loro.

Corrado: “Mi considero un pianista borderline”


(Nella foto: Corrado Neri)

Mi chiamo Corrado Neri ho 23 anni, sono un pianista siciliano e sono venuto a Milano per specializzarmi. Abito in Casa Verdi da circa un anno e studio al Conservatorio di Milano. Sto prendendo la specialistica in pianoforte ma nel frattempo seguo anche corsi di composizione.

Come ti trovi in questo luogo sacro?
Questo è il posto adatto per studiare. Qui c’è l’energia giusta cogliere ogni aspetto musicale importante per uno studente.

Qual è stato il meccanismo, la magia, che ti ha portato verso questo mondo, quello della musica?
In realtà io sono un pianista borderline, la mia concezione di musica classica non nasce classica, ma lo diventa. Classico è ciò che è bello nell’eternità. Le composizioni di Beethoven, piuttosto che di Schubert o Chopin e altri, oggi vengono definite musica classica perché sono state fatte talmente bene che sono belle nell’eternità, per cui ancora oggi è un piacere ascoltarle.
Oggi purtroppo si è diffusa una reverenza eccessiva. Questi geni, per i quali si deve provare solo una mesta reverenza, in verità, al tempo, erano giovani compositori, geniali, ovviamente. Mozart, faceva musica tutti i giorni per intrattenere amici, nobili, amici di famiglia. Da questa mia concezione personale sostengo che non esiste la musica leggera o pesante, musica vecchia o nuova, ma esiste soltanto la musica buona, quella fatta bene e quella fatta male.

E cos’è il genio, per te?
Il genio è un misto fra talento e molta continuità nello studio e nell’applicazione verso la musica.

Come consideri la musica oggi?
Oggi il 95% della musica, soprattutto in ambito commerciale delle case discografiche, è veramente musica di scarsa qualità. Poi ci sono le eccezioni. Ad esempio il cantautore e compositore che a me piace molto è Raphael Gualazzi perché ha una concezione estetica vera e propria. Un altro cantautore è Battiato. E poi le svelo il mio grandissimo amore per Domenico Modugno. Tanto che, quattro anni fa, mi sono messo a studiarlo profondamente, sia per quanto riguarda la sua vita privata, sia le sue composizioni. Adesso sto portando avanti un progetto che si intitola “Neri canta Modugno”,uno spettacolo di due ore e mezzo. Era un autodidatta ma aveva delle intuizioni incredibili e un umorismo fuori dal comune. (Parte il pianoforte con Vecchio frac e La sveglietta.)

L’umorismo è necessario per la genialità?
È una componente essenziale per un genio. Umorismo significa creare delle composizioni multistrato che possano essere accessibili a tutti indistintamente.

Qual è il tuo obiettivo, e cosa farai da grande?
Il mio obiettivo è quello di essere riconosciuto come un bravo cantante, musicista, cantautore, compositore, una figura a 360 gradi. La mia forma mentis è da creativo non da interprete. C’è già una proposta di spettacolo. La formazione è trio, quindi un pianoforte, un contrabbasso e una batteria e, naturalmente, la voce. Poi un supporto immagine alle spalle, perché ci sono delle interviste che ho fatto ai parenti di Modugno, alcune clip e inoltre un minimo di impianto luci.
Io voglio guadagnare facendo il musicista e andare nei teatri e fare questo tipo di spettacoli, però mi rendo conto che se dovessi aspirare, in questo momento, a un posto in ambito commerciale, con queste Case discografiche che non capiscono di musica, dovrei abbassarmi a dei canoni allucinanti. Oppure dovrei interpretare per forza pezzi dei loro autori che scrivono melodie brutte o banali.

Di chi è, quindi, la colpa? Delle case discografiche?
La colpa è il gusto per il trash. Anche i bambini si lasciano condizionare spesso dal gusto collettivo. Se un bambino ha dieci amici che cantano “Andiamo a comandare” lo fa anche lui, se ha dieci amici che cantano “L’inno alla gioia” di Beethoven lo canta anche lui. Si tratta della vulnerabilità dei gusti di un bambino. Ovviamente il bambino che nasce in una famiglia di musicisti che ascoltano buona musica è un bambino che queste cose le disprezza già da subito.

Marco: “Per me è fondamentale la ricerca”


(Nella foto: Marco Infantino)

Quanti anni hai e quali sono i tuoi progetti, Marco?
Ho 21 anni. I miei progetti sono quelli di portare alta la bandiera di chi studia musica e di chi lo vuole fare in un certo modo.

E qual è il certo modo per te?
È scegliere la musica come scelta di vita più che come scelta di professione. Io studio composizione, quindi scrivo musica da concerto, che si pone dopo una sinfonia di Beethoven, piuttosto che dopo un quartetto di Schönberg.

C’è stato un periodo del ‘900 in cui si è sperimentato fin troppo e quindi il pubblico è stato terrorizzato da un certo avanguardismo. Quello che manca in generale è la valorizzazione del nuovo repertorio. Alla Scala o in altri teatri e Auditorium, dove si fa musica classica, la maggior parte delle esecuzioni sono di musica del passato. Questo per esempio ai tempi di Mendelssohn non succedeva perché si eseguiva un pezzo del passato ma poi la metà del concerto era riservato alle nuove proposte.

Tu sei un compositore. Come lo vedi il tuo futuro?
Io studio composizione, sto per finire il mio percorso e sono sempre più convinto di potenziare questo aspetto con l’impegno e la ricerca.
Il mio futuro lo vedo a volte sì, a volte no. Forse per come vanno i tempi in questo periodo.

Ci si sente schiacciati dalla poca certezza di un lavoro. Bisogna avere altre aspirazioni, come creare una famiglia, costruire una vita che non sia solo la professione.
Finirò gli studi fra due anni. Nel frattempo approfitto delle disponibilità dei Maestri in Conservatorio per studiare, per poter partecipare a un concerto diverso ogni sera di musica sinfonica o di un violinista, di un coro, di un concerto d’organo in Duomo, questa è una possibilità unica che chi abita nei piccoli centri non ha. Milano offre molto in questo senso.

Ma oltre questo i tuoi mezzi di comunicazioni quali sono?
Io sono una persona antica, scrivo ancora la musica con il pentagramma, la matita e la gomma e in una fase successiva, quando devo dare agli esecutori la mia partitura per un concorso o per un progetto in Conservatorio, allora passo al computer. Sarebbe ridicolo presentare la partitura manoscritta. Comunque credo nella composizione come artigianato, cancellare e riscrivere genera meccanismi creativi diversi. Prima o poi quando ci si chiude nel proprio studio, nella propria ricerca, un ritorno alle origini è necessario, perché l’uomo è quello. È la mente che ha creato tutto questo benessere, in realtà il nostro cuore, il nostro corpo, sono fatti per altro. Sono fatti per scrivere sui fogliettini di carta, per scolpire, per dipingere.

Mi chiedevo chi o cosa che fa nascere questi fenomeni di musica brutta?
È difficile. Ci vorrebbe un sociologo. È uno strano meccanismo di ingiustizia, secondo me: chi meno studia la musica, più ha successo.

Come si può fare per far conoscere questa musica, anche commercialmente parlando?
Bisognerebbe inserire a scuola la Storia della Musica. In merito ad essa dovrebbero cambiare tante cose. Anche la modalità di ammissione dei docenti, per esempio. Io sono per i metodi inglesi. Provare il docente prima di assumerlo, vedere il comportamento che ha con gli studenti, il materiale che fornisce. Questo in Italia è impossibile perché siamo abituati al posto fisso. Così anche le Università. Quindi finito il percorso del liceo, in quel caso Musicale, a 18 anni un ragazzo può dire: mi iscrivo alla Facoltà di pianoforte o di direzione d’orchestra. E poi bisogna dare la possibilità di fare dei master, dei dottorati che al momento sono assenti perché i Conservatori sono legati all’ancien régime. È anche per questo che a noi compositori ci legano a una ricerca tutta sperimentale piuttosto che sulla concentrazione di lavori dei grandi musicisti, come il contrappunto, la fuga, e si preferisce subito la libera creatività. Credo nella figura del Ministero dell’Istruzione e mi auguro che prima o poi abbia la sensibilità per cogliere questo aspetto.
Poi i fenomeni ci sono sempre stati, abbiamo avuto i Beatles, ora ci sono i Coldplay. Uno studente di 15 anni, però, deve poter scegliere di conoscere anche Vivaldi, oltre ai Coldplay. E ritorniamo sempre sul principio dell’educazione.

Come ti trovi a Casa Verdi?
È la mia seconda casa, ci sono affezionato. Chissà se ci tornerò da anziano, ma spero di no. Casa Verdi è un’opera unica, come il Colosseo. Una casa di riposo per musicisti è stata fatta solo qui e solo da Giuseppe Verdi.

Ringraziamo
– Gli ospiti
-Il Presidente Roberto Ruozi
-Danila Ferretti, Direttore e Segretario Generale della Casa
-Biancamaria Longoni, Assistente di Direzione

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Commenti

There is 1 comment for this article
  1. Avatar
    Carlo Gentili 24 Settembre 2017 12:40

    Articolo piacevole. Profondo per chi ne segue attentamente la struttura portante. Interessanti la vividezza del racconto e l’accenno alla magia dei ricordi legati al maestro di Busseto, come la sua camicia bianca, il cappello da passeggio, il cilindro esposti in vetrina. Non il tempo di soffermarsi sui cavalli bianchi della carrozza funebre e il ricordo legato a Toscanini, che il racconto spiazza piacevolmente il lettore: il rischio melanconico e crepuscolare legato a pur brillanti vite del passato, viene brillantemente superato con interviste e storie attuali di pittori, compositori e musicisti che vivono e rendono viva una realtà affascinante che operano ancora fortemente nel mondo dell’arte e della cultura. Complimenti. cg

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