CAPOLAVORI ISPANICI - A sinistra: Antonio de Pereda, Il sogno del Cavaliere. A destra in alto: Juan Sánchez Cotán, Bodegón de frutas, verduras. In basso: Juan de Zurbarán, Mele in cestino di vimini. Home page: Peter Binoit, Natura morta con frutta, dolci.

La natura morta: un silenzio inebriante e catartico

A Torino una mostra dedicata ad alcuni artisti spagnoli, da Cotán a Goya

La natura morta, un soggetto che ha affascinato grandi artisti in differenti epoche, che ha lasciato il segno in straordinarie creazioni pittoriche. La mostra di Torino – in calendario fino al 20 settembre -, dedicata ad artisti spagnoli, espone capolavori di inequivocabile rilievo partendo dal Seicento e percorrendo due secoli di ricca produzione artistica. Uno sviluppo costante che ha impegnato artisti come Juan Sánchez Cotán (Orgaz 1560 – Granada 1627), Juan de Zurbarán (1620 – 1649), Luis Egidio Meléndez (Napoli 1716 – Madrid 1780), Francisco Goya (Fuendetodos 1746 – Bordeaux 1828).

Ognuno di essi ha donato all’umanità capolavori irripetibili che, raccolti in un’unica mostra, creano un effetto di una suggestione irripetibile per la sua particolarità e maestosità.

 Juan Sánchez Cotán è stato un pittore spagnolo esponente del genere bodegon. E’ generalmente considerato il fondatore di questa corrente artistica in Spagna. L’artista, che a 43 anni scelse la vita monastica presso un monastero certosino vicino a Madrid, è autore di scene religiose, ritratti e nature morte. Deve la sua fama soprattutto a queste ultime. Fu tra i primi artisti ad avviare un genere che grande seguito avrà in futuro, tanto da influenzare e ispirare successivamente Luis Meléndez. Le sue nature morte sono assolutamente semplici, essenziali, senza alcun eccesso.

Bodegon significa cantina, taverna, ma indica il genere pittorico della natura morta in tutte le sue manifestazioni possibili: frutta, verdura, tavole allestite, cacciagione, pesci. Ogni natura morta valorizza aspetti all’apparenza insignificanti della vita quotidiana che rappresentano altro, che allegoricamente ricordano quanto fugace sia l’esistenza, quanto fragili ed effimeri siano i gesti umani. Nonostante questa consapevolezza questi artisti sono alla perenne ricerca di segni tangibili, reali, concreti, minimi dell’agire umano, quasi a voler fermare per sempre, per l’eternità, cose e oggetti che di eterno non hanno nulla, di imperituro conservano solo pochi momenti destinati a frangersi contro l’inesorabilità del tempo che scorre.

Pur non contemplando la presenza dell’uomo, le nature morte di questi artisti la rievocano costantemente, declinando tutto l’operato di una umanità tesa al lavoro nei campi, alle fatiche domestiche, agli impegni quotidiani. Sono proprio i dettagli minuscoli di ogni tela che esplicitano tutti i gesti e le azioni che tanta attenzione richiedono. In queste rappresentazioni il tributo degli artisti gratifica indubbiamente le piccole cose, quelle che nella vita e nella storia hanno fatto grande l’uomo.

Juan de Zurbarán, pittore barocco spagnolo, morì prematuramente all’età di 29 anni. Ha lasciato una testimonianza artistica preziosa. Pur lavorando nel laboratorio del padre a Siviglia, del quale ha sicuramente subito l’influenza, ha realizzato quadri di grande personalità e originalità.

Luis Meléndez, originario di Napoli, inizialmente allievo del padre miniaturista, studiò in seguito a Madrid. Le sue opere, pur trovando ispirazione dagli elementi tradizionali del genere, intrecciano anche influssi di altri grandi pittori coevi. Al Prado di Madrid è conservata la sua “Natura morta con limoni”. È famoso per le nature morte realizzate per il castello di Aranjuez. La sua pittura è asciutta, pur avendo ben presenti le magniloquenti tele barocche napoletane. I suoi bodegones sono generalmente di piccolo formato, dove la scopo precipuo è quello di un chiaro realismo, quasi eccessivo. Rappresenta gli oggetti più semplici, più poveri, curando meticolosamente i dettagli fin quasi all’esagerazione. Lo studio del cromatismo rende su tela il medesimo effetto dell’oggetto reale, che sia legno, metallo o ceramica il materiale da rappresentare. Gli oggetti raffigurati mantengono una chiarezza e un’armonia di forme uniche. Sembra un anticipatore di Goya. L’effetto ottico è estremamente preciso.

Francisco Goya, artista poliedrico e di una creatività fuori del comune, ha prodotto, durante la sua lunga esistenza, creazioni che a fatica si possono inserire in una specifica corrente artistica.

L’esposizione è curata da Ángel Aterido, professore dell’Università Complutense di Madrid ed è stata allestita grazie ad un accordo tra Bozar/Palais des Beaux-Arts di Bruxelles e la collaborazione con Intesa San Paolo.

La mostra è articolata seguendo un itinerario cronologico in sette sezioni: le origini (fine Cinquecento), i bodegones, i floreros, tavole e cucine, le Vanitas, il primo Settecento, il gusto accademico e Goya (fino all’inizio dell’Ottocento).

Le opere in mostra sono quaranta e provengono dal Museo del Prado di Madrid, dalle Gallerie degli Uffizi di Firenze, dall’Art Museum di San Diego e da altre notevoli collezioni private.

L’esposizione evidenzia le caratteristiche specifiche della natura morta spagnola e anche i punti di contatto con altri centri europei dove il genere si è manifestato: in Italia e nelle Fiandre in particolare.

La realtà viene osservata nella sua contingenza, nella sua essenzialità. Nell’immobilità assoluta si coglie l’essenza della vita, la drammaticità dell’esistenza che passa, che lascia comunque un segno che questi grandi artisti “fotografano” facendo quasi “parlare” le proprie tele, quasi a lanciare un grido intriso di tutte le esperienze vitali dell’umanità intera. Minuscoli particolari tesi a colpire la nostra anima, la nostra fantasia, il nostro passato, le nostre esperienze. Come quando ci si sofferma, durante la lettura di un racconto, a meditare perché è sovvenuto un pensiero, un ricordo, un’esperienza del nostro vissuto, assopita ma latente. E allora anche il piccolo indizio del quadro fa riaffiorare nell’acuto osservatore e ammiratore di queste opere, altro, che siano ricordi, esperienze, immagini, emozioni. L’opera ha lasciato il proprio segno, profondo e inconfondibile, ha coinvolto il fruitore e lo ha reso partecipe della medesima sensazione e stato d’animo che ha vissuto il pittore durante la sua creazione, durante la realizzazione di ogni segno sulla tela, un segno che non è morto, un segno che vive, che inevitabilmente rievoca, in ogni estimatore sensibile, altre storie, altre vite, altri momenti della natura umana, significativi e assolutamente inestinguibili.

 

Il silenzio sulla tela. Natura morta spagnola da Sánchez Cotán a Goya 

Dal 20 Giugno 2018 al 30 Settembre 2018

TORINO: Galleria Sabauda, Sale Palatine

Curatore: Ángel Aterido – Enti promotori: MiBACT

SITO UFFICIALE

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