IL MADE IN ITALY È UNA MUSERUOLA

L’incapacità di esportare modelli di business vincenti. Così Starbucks…

A Milano è sbarcato Starbucks. La grande catena di caffetteria ha scelto il capoluogo lombardo per avviare una sperimentazione di vendita nuova per l’Europa e per il nostro Paese, dove il tradizionale modo di produrre caffè si sposa con lo stile internazionale.

Starbucks è stata fondata dall’austriaco Howard Schultz che dopo un viaggio di esplorazione e osservazione in Italia ha creato quello che già sapevamo fare, ma in modo diverso. Nel mese di agosto Coca Cola ha annunciato di aver acquisito Costa Coffee per 5,1 miliardi di dollari. Costa Coffee è stata fondata a Londra dai due fratelli Sergio e Bruno Costa originari della Valditaro, per poi essere ceduta a un fondo di investimento. Due notizie e un’unica domanda: perché l’Italia non è stata capace di creare – lei, da sola – fenomeni come Starbucks e Costa? Ma come, la patria dell’espresso e del cappuccino, due nomi che insieme a pizza sono ormai conosciuti a livello mondiale, non è stata in grado di esportare un modello di business vincente? Non vale la pena girarci intorno. La risposta è evidente. Nessuno poteva pensarci perché la nostra mentalità è nella difesa del made in Italy. Sappiamo come fare l’espresso e vogliamo che tutti lo sappiano fare come i baristi napoletani. Ci siamo persi per strada una fetta di valore che matura nella capacità di espandere le potenzialità. La sfida futura non è nel saper fare il caffè come noi lo vogliamo, ma nel potenziare le reti laddove un modello che ha al centro il caffè può essere vincente.

Di fronte a questa visione la difesa del made in Italy è deludente e perdente. Occorre espandere, allargare, studiare la complessità dei mercati. E puntare ovviamente sull’innovazione, che è tecnologica e organizzativa, che si basa sul capitale umano e digitale. La Star – società acquisita nel 2006 da un gruppo spagnolo che dal 2015 si chiama GBfoods – intorno a questi concetti ha inventato la campagna pubblicitaria “facciamo il ragù e il sugo come a casa tua, ma in scala più grande”. Si capisce la differenza tra il fare e l’espandere? A questo punto si rifletta su altre due acquisizioni. Nel 2013 il gruppo francese ha rilevato la pasticceria Cova, l’anno successivo Prada ha preso l’80% di pasticceria Marchesi. Dove crediamo che evolva il made in Italy? E quante aziende da noi sanno produrre, ma non sanno ancora creare un’economia di scala? Dove si pensa che sia il futuro, nel saper fare da solo o nel saper allargare ciò che sappiamo fare, ma in modo diverso e su scala più grande? Ci aveva provato anche Federico Marchetti con Yoox. La società è stata acquisita nel gennaio 2018 con un Opa totalitaria dal gruppo svizzero Richemont. Ora Yoox vale oltre 5 miliardi di euro. Un asset che non è più italiano. Dove finirà il made in Italy, la cui difesa appare oggi una museruola più che una dinamo?

Condividi
Share

Commenti

be the first to comment on this article

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Vai a TOP