DOCENTI - Saranno più giovani, ma impreparati.

SCUOLA – Il ministro Bussetti : avremo docenti under 30 Marcia indietro di almeno 20 anni

Tutto all’insegna della velocità, a scapito della qualità dell’insegnamento

L’articolo 58 della legge di bilancio 2018 prevede che per l’accesso al concorso docenti  sia sufficiente la laurea che contempli 24 crediti in esami psico-pedagogici,  quindi non servirà più la formazione, ma per i vincitori di concorso sarà sufficiente un anno di prova da assunto.

Addio quindi a vent’anni di corsi di formazione (SSIS – scuola di specializzazione all’insegnamento secondario – e TFA, tirocinio formativo attivo), istituiti nel 1999 dall’allora ministro Berlinguer e rimasti in vigore fino alla legge 107 del 2015,  che consentivano l’acquisizione dell’abilitazione all’insegnamento e la specializzazione post laurea.

“Avremo docenti under 30”, assicura il ministro Marco Bussetti orgoglioso del fatto che la giovane età produca insegnanti esperti e preparati.

Neppure il ministro Gelmini aveva osato tanto, anzi la parola d’ordine era : imparare ad insegnare.

Sì, perché si impara ad insegnare, ci si forma, si apprende l’arte della docenza, si impara a trasferire il proprio sapere agli alunni, nessuna laurea ti abilita a questa professione se la si intende non come semplice trasmissione di conoscenze e contenuti, ma come la capacità di sviluppare competenze trasversali alle varie discipline di studio.

Il ministro afferma: “C’è bisogno di docenti giovani che diano forza alla scuola italiana, laureati subito in ruolo, serve semplificazione e ordine”. Ecco la parola magica, semplificazione, ma semplificare cosa? Semplificare una professione per la quale negli altri Paesi europei esiste un percorso specifico, tirocini seri e formazione continua unitamente alla valutazione dell’operato e degli obiettivi raggiunti? Questo innalzerebbe la qualità delle scuole italiane e migliorerebbe la preparazione degli alunni, secondo alcuni, a parere di altri ciò significherebbe tornare indietro di almeno 20 anni.

Abbassare il livello della formazione significa pensare che i nuovi docenti senza un tutor entrino in classe e magicamente tengano lezione, magari in scuole difficili e disagiate dove prima della trasmissione del sapere occorre ben altro. Senza tralasciare i 24 crediti acquisiti in materie psico- pedagociche ( 4 esami)che non sono certo paragonabili ad un ciclo di formazione specifica di uno o addirittura tre anni.

Avremo così certamente docenti più giovani, la rottamazione è sempre di moda, ma siamo certi che saranno più preparati ad affrontare il lavoro quotidiano in classe fatto di relazione, mediazione e tecnica di docenza?

Nelle scuole italiane quasi ogni giorno si verificano episodi che denotano disagio e problematiche di  ogni genere. I giovani docenti saranno chiamati a gestire situazioni complesse, atti di bullismo anche verso insegnanti, alti tassi di dispersione scolastica, non bastano pochi crediti e qualche contenuto studiato per far fronte a tutto ciò, occorre esperienza e un forte equilibrio psicologico unitamente a competenze relazionali che si acquisiscono cammin facendo affiancati da un tutor e con formazione continua.

Questa “riforma” ci porta indietro di 20 anni, ma il mondo è cambiato, i ragazzi sono cambiati, l’aula si “conquista”, l’autorevolezza del docente si costruisce poco per volta ogni giorno facendo tesoro delle esperienze di chi nella scuola lavora da anni.

La classe docente italiana è costituita da ultracinquantenni ed è la più anziana d’Europa, ma in Europa è consentito agli insegnanti più esperti di poter operare come tutor delle nuove leve affiancandoli e aiutandoli nell’esercizio della professione: questa sarebbe la vera riforma, ma si sa i costi sarebbero altissimi   e nella nuova legge di bilancio varata dal Governo le risorse per l’istruzione sono poche in continuità con le ultime leggi di bilancio, che da sempre hanno assegnato all’istruzione il ruolo di Cenerentola.

Allora si continuano a cancellare le buone pratiche, anzi rottamiamo gli insegnanti che per anni si sono formati sul campo, che hanno compreso che l’apprendimento nasce dalla relazione  docente-alunno.  Espressioni verbali come semplificare, velocizzare nel mondo scolastico nulla hanno a che vedere con un insegnamento efficace, a meno che si voglia veramente semplificare tutto l’apparato burocratico, le sovrastrutture che bloccano la funzionalità scolastica, le leggi e i cavilli che rendono la scuola pubblica un apparato elefantiaco e lento, ma questa è un’altra storia.

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