UE A UN BIVIO, LA DEMOCRATIZZAZIONE È LA STRADA GIUSTA
Questo il parere di Stefano Silvestri, consigliere scientifico dell’Istituto affari internazionali. L’UE non ha alternative. Il rischio? Un ridimensionamento a mercato comune
(P.C.) – L’Unione europea si trova a fronteggiare uno degli snodi più difficili della sua pur breve storia. L’uscita dell’Inghilterra, l’avanzata dell’estrema destra in molti Paesi, la presa di distanza del Gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca), con tanto di muri eretti a protezione dei rispettivi stati dall’arrivo dei migranti, la Spagna, alle prese con un’ipotesi di secessione della Catalogna… Ce n’è abbastanza per ipotizzare se non un disfacimento, un ridimensionamento dei percorsi di unificazione trans nazionale immaginati dai fondatori.
Ne parliamo con il professor Stefano Silvestri, consulente scientifico e past president dell’Istituto affari internazionali. “L’accelerazione di certi fenomeni sociali e politici ai quali assistiamo da almeno un paio d’anni a questa parte non ha caratterizzato solo la vita dell’Unione europea. Si pensi anche agli Stati Uniti, dove le tensioni sociali sono anche più forti, fino a sfociare in scontri di piazza. Certamente – sottolinea lo studioso – assistiamo a un rafforzamento dei movimenti nazionalisti e populisti, aggettivo questo troppo generico, in quanto comunque riconducibili a una semplificazione della politica, con atteggiamenti reazionari, atteggiamenti di forte impatto mediatico”.
Un fenomeno, come aggiunge Silvestri, legato alla crisi economica, alla lentezza della costruzione europea, “ma la Federazione degli stati americani, nonostante tutto è ben viva e vegeta”.
“Qui in Europa il fenomeno della globalizzazione ha provocato un diffuso senso di peggioramento del nostro standard di vita. Il tutto – precisa il consulente Iai– alimentato dalle nuove modalità di informazione che troviamo su internet: su Facebook si creano gruppi di persone che la pensano nella stessa maniera e ciò che circolano più di frequente sono le paure. Le conseguenze si traducono in scelte sociali e politiche di netta chiusura a favore di movimenti e partiti che fanno della paura una bandiera”.
In buona sostanza bisogna interrogarsi su quale destino attende l’UE: si va verso un progressivo, lento disfacimento? “Senz’altro assistiamo a due fenomeni importanti: il tentativo dell’allargamento dei Paesi membri, da un lato, e la difesa dell’euro, dall’altro. La crisi economica – afferma Silvestri – ha indebolito i governi centrali che dovevano reagire invece di arroccarsi su posizioni difensive: è mancata la propositività, per cui chi era forte è rimasto tale dettando le regole agli altri, senza un minimo di condivisione di un progetto comune, europeista. Addirittura alcuni Paesi, risolti i problemi in casa, si sono scagliati contro l’Unione europea accusandola di incapacità… Un po’ ridicolo: che cos’è l’Unione europea se non un’associazione dei Paesi membri?”
La questione dei migranti sta da tempo agitando la scena internazionale, provocando ulteriori divisioni, anche in senso fisico: i muri eretti in Ungheria, Polonia ne sono una riprova, così come il fatto che solo la Slovacchia ha adottato l’euro, mentre gli altri Paesi del cosiddetto gruppo di Visegrad – oltre a Ungheria e Polonia anche Repubblica Ceca – non hanno ancora scelto. “L’arrivo dei migranti – osserva Silvestri – viene percepito come una nuova calata dei barbari, ma i numeri sono grosso modo analoghi a quelli di un recente passato, in linea con la ricerca di manodopera disponibile a svolgere lavori particolarmente usuranti che in molti Paesi, incluso il nostro, nessuno vuole più fare. Ecco di nuovo il fantasma della paura che genera una chiusura e quindi una radicalizzazione dei nazionalismi. Le votazioni in Austria ne sono una riconferma. Da notare che il Paese ha adottato l’euro, ma ora, come possibili decisioni politiche, sembra più vicino al Gruppo di Visegrad”.
Lo scenario che giunge dalla Spagna alimenta comunque rischi di ulteriori divisioni. “La questione della Catalogna è quasi tragicomica: si sono chiesti i catalani cosa significhi uscire dall’Unione europea? Sono all’interno di un Paese che ha fatto registrare una significativa crescita negli ultimi anni. Penso che i catalani stiano agendo senza riflettere, senza pensare alle conseguenze”.
“Chiaramente l’Unione europea – ribadisce il consulente scientifico dell’Istituto affari internazionali – ha bisogno di una formazione, di una impostazione diversa rispetto agli Stati Uniti. Qui si è dato vita a un modello troppo burocratico e comunque i risultati non sono mancati: agricoltura, commercio, gestione dei mercati sono i settori nei quali molti Paesi si sono rafforzati grazie all’azione dell’UE”.
“L’Unione europea deve strutturarsi in maniera più completa – conclude Stefano Silvestri – perché si trova di fronte a un bivio: o diventare un mercato comune, con un’unica moneta che alla lunga potrà andare in difficoltà; con un difficoltoso controllo delle frontiere come ricaduta di politiche nazionali contrastanti. Oppure puntare con decisione verso un’autentica democratizzazione con un significativo e autorevole governo europeo, una difesa europea, una procura europea. Queste sono fondamentali decisioni politiche, sulle quali si sta già discutendo, che possono conferire un volto nuovo all’Unione. Proprio di recente una sentenza della Corte costituzionale tedesca suona come un monito: determinate azioni in campo monetario devono essere prese dal Parlamento europeo”. Il cammino è questo. Per salvare l’UE.
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