Editoriale del numero 0/2
EDITORIALE
Questa Unione Europea così fragile, così divisa
di Paolo Corticelli
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Ora, quelle parole ci devono far riflettere perché per il continente deve esserci un cambiamento sostanziale. Allora, “ogni singolo europeo collaborerà…”. Ma oggi questa collaborazione esiste? Oppure, per rimanere alla stretta attualità, vediamo i muri dell’Ungheria mentre Germania, Austria, Croazia e Francia, Svezia e Danimarca che sospendono il trattato di Schengen per far fronte all’ondata di profughi? Circa 458 milioni di abitanti – considerando la Brexit – non riescono a concordare linee guida per accogliere coloro, circa 2,5 milioni, che fuggono da situazioni umanamente inaccettabili? Con l’Italia lasciata sola, quale unico avamposto geograficamente prossimo alle terre dai quali provengono i migranti. Questa è collaborazione? Fermo restando il fatto – come è già stato detto e scritto -che chi arriva deve accettare le leggi del Paese che lo ospita, incluse le norme elementari della convivenza civile; non deve imporre abitudini o modalità di vita, anche di ispirazione religiosa, che siano in aperto contrasto con le normative vigenti in questa o quella nazione. Dal canto suo, il Paese ospitante dovrebbe dotarsi di una serie di procedure identificative, ma anche avviare programmi di integrazione (l’istruzione, prima di tutto). Regole. Regole da applicare, in gran parte disattese.
Stati Uniti e la visione “quasi romantica”
In un articolo dal titolo Cambiare l’Unione/La fiducia è la prima riforma (Corriere della Sera, domenica 4 giugno, in prima pagina), Letizia Reichlin ripercorre il cammino, discontinuo, alla ricerca di una condivisione collaborativa sui diversi problemi talora solo teorica, con il rinnovato proposito di Francia e Germania di essere la guida di una mancata Federazione. E qui il parallelo con gli Stati Uniti calza a pennello: all’indomani della scelta di Trump di disattendere l’accordo di Parigi sul clima, grandi città “e alcuni Stati si ribellano… La Federazione degli Stati Uniti sembra essere diventata improvvisamente fragile… Tuttavia l’interesse comune a stare insieme, per loro, fino a ora ha prevalso”. Perché i cittadini americani attribuiscono al Grande Paese un’idea e una visione “quasi romantica”.
Savinio definiva e auspicava un’Europa unita come “supernazione” perché tutto, uomini e cose, sarebbe stato al posto migliore perché “naturale”. Ovvero, di fronte ai due colossi di allora, gli Stati Uniti da una parte e l’allora Unione sovietica dall’altra, doveva essere conseguenza logica, spontanea l’unificazione dei Paesi del continente, e superare così atteggiamenti dalle forti connotazioni nazionalistiche: la Francia, talvolta ancora legata al sogno perduto della “grandeur”, l’Inghilterra, con la recente riaffermazione del suo isolazionismo per “essere più forti”, la Germania, da sempre vocata a svolgere il ruolo di “prima della classe”, con l’Est, ovvero i Paesi dell’ex blocco sovietico spesso trascurati, popolazioni talora vessate da una Russia che lo “zar” Vladimir Putin comunque non riavrà, come agognava.
Ecco, quella visione “quasi romantica” di una Unione Europea coesa non c’è. Una visione dove uomini e donne, pur di origini etniche diverse, condividono uno stesso percorso in cui devono sapersi mettere a disposizione, in maniera naturale, per un progetto di vita in cui si affrontano i problemi senza alzare i muri, anche solo metaforici. C’è da porsi, una volta di più, la domanda: l’uomo, con la sua capacità raziocinante, dov’è? D’accordo il rigore finanziario, che ha evidenziato come alcune nazioni abbiamo vissuto ben al di là delle loro possibilità, ma non basta. Anzi. Oltre a pensare alla sicurezza e all’immigrazione, l’Europa ha bisogno di consolidare la propria politica estera, di avviare programmi di sviluppo, con il rigore delle regole dell’eurozona, ancora carenti…
Un latente sentire comune
Alberto Savinio non fa mai riferimento a una moneta unica: parla dell’umanità. E nel contempo Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Ursula Hirschmann, esiliati dal fascismo, redigevano il Manifesto di Ventotene, primo documento ufficiale ove si fa riferimento all’istituzione di una federazione europea dotata di un parlamento europeo, eletto a suffragio universale, e di un governo democratico con poteri reali in alcuni settori fondamentali come l’economia e la politica estera.
Il sentire comune, così labile nella UE, si realizza anche con l’abbattimento delle divisioni fra nazioni che sono state un tempo nemiche con un programma di educazione e di istruzione che coinvolga le scuole dei Paesi membri; il sentire comune deve essere conseguito valorizzando le differenze culturali, che scaturiscono da idiomi differenti (ogni madrelingua configura un mondo e la sua percezione in maniera differente rispetto a ogni altra), un patrimonio che senz’altro può contribuire a un’epifania “romantica” di questa Unione europea, altrimenti confusa e fragile. Nella quale può affiorare una “volontà di suicidio”, come paventò Savinio. Dopo oltre settant’anni abbiamo di che riflettere per evitare il peggio.
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