LO SPORT COME STRUMENTO
PER L’INCLUSIONE SOCIALE
Roberto Bassi in Guinea ha fondato l’Académie Football Madarom, quasi mezzo secolo fa. Oggi conta 250 fra allievi, allenatori, direttori sportivi. “Per dare un calcio alla povertà”
Qui nella polvere rossa di Kankan, nell’Impero dell’oro e dei diamanti, delle ricchezze smisurate e della povertà infinita, dove ogni essere umano vale meno di zero, quasi 50 anni dopo riprovo le stesse emozioni di gioventù, un pallone che rotola, il campo polveroso, tutto all’inseguimento di un sogno. Académie Football Madarom de Guinée ad oggi conta più di 250 tra allievi, allenatori, direttori, medici, magazzinieri. Tutto iniziò nel 2010, quando sono partito per la Guinea, uno dei paesi più poveri dell’Africa equatoriale. “A queste latitudini – aggiunge Roberto Bassi, fondatore dell’Académie – se non c’è un ritorno economico è difficile far partire progetti”. Anche se hai le migliori intenzioni. Per realizzare il progetto ho scritto due libri: ”La tua Africa, cosa EBOLA in pentola” e “Un CALCIO alla povertà”
“Il valore sociopolitico dello sport – prosegue Bassi – non è solo un crogiolo di intrattenimento ma ci aiuta a cancellare tutte le nostre divisioni economiche e spinge tutti: ragazzi e ragazze, a capire che può rappresentare una leva di sviluppo sociale in contesti o territori svantaggiati, e di inclusione. Lo sport come strumento sociale, la cui pratica non è solo motivata da semplici desideri o capricci, ma soprattutto da fattori politici ed economici”. E se la pratica sportiva può essere una macchina che favorisce l’inclusione sociale, il calcio ne è il motore principale.
Ma come è iniziata l’avventura di Roberto Bassi in Guinea? È nata per caso come quelle cose della vita che non si sa come, ma arrivano. Già da un anno – ricorda Bassi – stavo organizzando un viaggio in Africa centrale per studiarne le popolazioni. Ero a cena da amici comuni e Ali, un ragazzo Mauritano che vive a Vicenza, mi dice se voglio raggiungerlo in Gabon ma nel frattempo in maggio mi chiama dicendomi che si trova in Guinea e mi invita a raggiungerlo. Così parto e vado. Qui trovo il mio compagno di viaggio e insieme visitiamo diversi villaggi del nord del Paese sperduti nella foresta. Mi fa conoscere il tessuto sociale proprio della vita africana per capire come entrare nella loro mentalità ma senza imporre la nostra cultura occidentale. E da qui è cominciato tutto. Per due anni vivo nei villaggi più sperduti della Guinea forestale, cercando di capire il più possibile dove poter cogliere l’attimo, per studiare le loro abitudini, le loro tradizioni e la loro filosofia di vita. Per imparare ma allo stesso tempo insegnare”.
“Un calcio alla povertà” è un progetto educativo incentrato sullo sport. Si pone come obiettivo quello di trasmettere valori educativi facendo vivere ai ragazzi un’esperienza sportiva. Non ha pretese di professionismo sportivo, ma ritiene fondamentali i valori dello sport quali il lavoro di gruppo, il rispetto, il confronto. L’intento è quello di far vivere esperienze a ragazzi che nelle aree più povere del pianeta non hanno la possibilità di accedere all’istruzione. Ho voluto scegliere di trasmettere questa mia passione per lo sport a chi ne avesse più bisogno, e quindi a ragazzi che non hanno la possibilità di vivere lo sport come un passatempo. Per molti di loro, infatti, non è un passatempo: diventa l’unica distrazione alla sofferenza che vivono nella loro realtà. E quindi ho pensato che potesse essere utile per loro poter vivere una esperienza sportiva”.
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