Lettura in filigrana della Brexit

Un progetto nato nel 2000. Londra attrarrà ingenti capitali con leggi accomodanti

Analizzata nel suo periodo storico e in riferimento all’euro, la Brexit è un progetto che nasce agli inizi del 2000, con un’anteprima, segnato nel 1997, quando Hong Kong tornò ai cinesi. La Gran Bretagna – potenza coloniale – dovette riconsegnare a Pechino ciò che oggi è diventata una regione amministrativa speciale. Ma a Hong Kong è rimasta la sede della Hsbc, la Hong Kong Shanghai Banking Corporation una tra le banche più potenti al mondo, di diritto inglese, col compito di tracciare un anello di congiunzione tra Londra, il Commonwealth e la Cina. Hsbc fu fondata nel 1865 da un finanziere scozzese, Thomas Sutherland, con lo scopo di supportare i traffici mercantili.

Con gli anni 2000 il ruolo di Londra si è intensificato sul piano internazionale. Londra ha promosso l’ingresso della Cina (2001) e della Russia (2012) nel Wto, l’organizzazione mondiale del commercio. E sempre gli inglesi hanno consentito che lo yuan renmimbi, la moneta cinese, potesse entrare (settembre 2016) nel paniere delle valute di riserva del Fmi (i diritti speciali di prelievo). In questi anni Londra ha fortificato i suoi rapporti con la Cina sotto l’aspetto finanziario, sostenendone lo sviluppo sui mercati, favorendo il cambio del renmimbi su Londra e facendo collocare – alla borsa di Londra – i titoli denominati in renmimbi (chiamati dim sum).

Londra si è data il ruolo di intermediario dei capitali cinesi, in prospettiva russi e, già oggi, arabi. L’altro tassello da comprendere è infatti il ruolo che Londra ha voluto e vuole giocare con la finanza araba e con la casa saudita. Per quanto riguarda gli islamic bond, Londra ha già assicurato gli investitori islamici che rispetterà i criteri contenuti nella sharia islamica e collocherà strumenti idonei al mondo islamico e arabo in particolare. In questo contesto, in particolare, l’Arabia è un alleato di Usa e United Kingdom, oltre che di Israele. Dagli anni 2000 i sovrani sauditi hanno acquistato in Inghilterra e a Londra intere catene alberghiere, immobili, uffici, case; hanno inoltre costruito quartieri residenziali e popolari. Insomma, l’economia finanziaria inglese puntava già da anni a ripristinare un ruolo centrale negli scambi mondiali, dando una nuova visione al Regno Unito, quella di essere il centro dei traffici mondiali est-ovest nel pieno del secolo XXI.

Procedure troppo rigide

Mancavano però dei nodi da scigliere: 1) il rapporto con l’Unione Europea 2) la libertà di accogliere capitali da Paesi sotto osservazione.

Vediamo il primo punto. Per essere libera di agire, Londra aveva e ha bisogno di non essere posta sotto le rigide regole europee. Il diritto inglese è per sua natura mercantile, marittimo, internazionale. Le norme e le procedure del Vecchio Continente vanno strette. Già con Cameron gli inglesi avevano chiesto di sottrarsi alle norma bancarie sul bail-out e sul bail-in. In sostanza gli inglesi chiedevano di non essere costretti a pagare il conto dei fallimenti dei Paesi (vedi Grecia) e delle banche (Londra ha sempre pensato alla difficile situazione di istituti come Deutsche Bank). La richiesta di deroghe non è mai stata soddisfatta dal momento che i tedeschi hanno sempre cercato di imbrigliare Londra nelle reti normative comunitarie. Londra ha firmato il trattato di Maastricht ma non ha mai aderito all’euro, preferendo una posizione defilata, a tratti ambigua, ma efficace.

Restando nell’Unione, ma senza le clausole rigide, Londra avrebbe potuto essere libera di trafficare ovunque. Uscendo dall’Unione il risultato sarebbe stato lo stesso. È una posizione vincente comunque, si dice win-win. Qualunque fosse stato il risultato (Brexit o accordo con l’Ue) Londra avrebbe vinto. Con le resistenze europee avanzate da Berlino e da Parigi prima e l’esito della Brexit poi , il Regno Unito si è trovato così libero di agire sui mercati internazionali come meglio crede, con una forte alleanza con gli Usa, la Cina, Israele e l’Arabia.

E veniamo al secondo punto, che è cruciale anch’esso. La City londinese è da tempo pronta al salto di qualità a cui aspira da molto tempo: diventare la capitale mondiale delle transazioni finanziarie. A Londra si dovranno quotare le azioni e i bond di tutto il mondo: questa è la prospettiva. A cominciare dalla Aramco, la società petrolifera araba. Per la legislazione americana non si possono quotare a Wall Street i titoli delle società che appartengono a Paesi su cui esiste il fondato sospetto di appoggio alle attività terroristiche. Così, anche se Usa e Arabia sono alleati sul campo mediorientale, le società saudite non si possono quotare a New York perché dopo l’11 settembre il Paese arabo è nella lista di proscrizione per sospette attività terroristiche contro l’America. Saudi Aramco, la società petrolifera saudita, si quoterà a Londra, un mese dopo la realizzazione della Brexit. Il calendario è già stato fissato, dunque, per l’estate del 2019.

Dati societari trasparenti

C’è anche un’altra ragione per cui Aramco si quoterà a Londra e non in Europa. Le leggi europee sulla quotazione delle società energetiche e petrolifere chiedono completa trasparenza sui dati societari, compresa la valutazione delle riserve (che, in pratica, vuole dire quanta ricchezza si nasconde ancora negli immensi giacimenti di petrolio e di gas). Questo dato non è mai stato fornito dalla casa reale saudita: è il suo segreto di stato che custodisce gelosamente per evitare conflitti con altri Paesi e soprattutto con i propri cittadini, che danno consenso alla casa reale in cambio di un generoso welfare. A Londra la Aramco si potrà quotare anche in assenza di trasparenza sui dati.

Ecco in definitiva il piano della Gran Bretagna per il XXI secolo, la sua agenda, dopo e grazie alla Brexit: diventare un paese di riferimento mondiale per tutti i trasferimenti e le transazioni finanziarie e commerciali, denominate in sterline, dollari, rubli, yuan renmimbi e ryal saudita, ma non solo. Anche in euro, ovviamente.

In ciò la Gran Bretagna sarà supportata da un enorme complesso legislativo accomodante su: off-shore, trust, shadow banking, fin-tech. In buona sostanza: paradiso fiscale globale, con il Commonwealth che fa da scudo garante di relazioni. Quindi la Gran Bretagna non è destinata a quello splendido isolamento dichiarato da qualcuno, ma appare piuttosto ben posizionata di fronte alla nascita di un nuovo equilibrio mondiale, dove l’asse delle relazioni sarà il continente euro-asiatico. Che gli Stati Uniti si rafforzino o si indeboliscano, in questo scenario la posizione e il ruolo del Regno Unito sono forti e vincenti. Il Commonwealth è una rete di 53 paesi presenti in ogni continente: significa che la bandiera inglese tornerà a sventolare con forza in ogni punto del pianeta, anche se l’impero economico americano dovesse sprofondare nel declino più nero.

Tutto è pronto per il salto. Grazie al ruolo di intermediazione finanziaria che si giocherà a livello globale, Londra sarà in grado di attirare ingenti capitali, una parte dei quali servirà a riossigenare le industrie e le attività locali, con benefici anche per l’occupazione inglese. Questo è quello che si augurano coloro che hanno progettato la Brexit e coloro che l’hanno, volutamente o meno, sostenuta.

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