FATTA IN CASA – Raimondo Brandi nella commedia “La vita non basta” con il pubblico in salotto.

AMLETO IN SALOTTO, OVVERO MILANO E IL TEATRO NELLE CASE

Raimondo Brandi e Serenella Tarsitano sono gli attori artefici di questa proposta innovativa e antica al tempo stesso: quando una commedia arriva in soggiorno…

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A chi non piacerebbe accogliere Amleto nel salotto di casa propria? A patto che il principe shakespeariano non dimentichi il teschio sul divano e non ci lasci troppi dubbi da toglierci il sonno. Se un tempo il privilegio era riservato a principi e re, oggi in soggiorno – o perché no, in terrazzo o sul pianerottolo – chiunque lo desideri può godere di uno spettacolo privato per sé, per i propri amici e, se lo desidera, aprire le porte anche a sconosciuti appassionati di teatro con cui condividere la singolare esperienza.

Com’è per tante scelte dei nostri tempi anche in questo caso, come si suol dire, basta un clic. Sì, perché due attori, Raimondo Brandi e Serenella Tarsitano, individuata nella distribuzione la principale falla del sistema teatrale italiano e in cerca di una nuova via per vivere del proprio mestiere, hanno fondato la rete “TeatroxCasa” (www.teatroxcasa.it), grazie alla quale è oggi possibile per gli attori e gli appassionati spettatori fare e godere del teatro negli appartamenti privati. A Milano le “loro” case sono oggi circa 30, gli spettacoli in “cartellone” 22.

La disponibilità della gente

Raimondo e Serenella sanno che il teatro indipendente di qualità non riesce ad avere sufficiente spazio nei luoghi deputati, le sale teatrali appunto (per questioni economiche, per scelte culturali magari da rivedere), ma che c’è una bella fetta di pubblico che quegli spettacoli li cerca, eccome. Inoltre Brandi, forte dell’esperienza di backpacker – chi si muove “zaino in spalla” -, ha capito come le persone oggi siano disposte ad aprire casa per conoscere, condividere, e ha pensato di proporre la stessa esperienza per il teatro.

TeatroxCasa mette in contatto i proprietari di appartamenti, le compagnie e gli spettatori, facendo così esplodere un fenomeno che continua a crescere: 900 case ospitanti in tutta Italia (a metà 2016 erano 360) e 350 eventi sino ad ora realizzati.

Per fare del proprio salotto un palcoscenico ci si registra sul sito, si sceglie uno degli spettacoli e si propone una data, avendo sott’occhio le disponibilità che gli attori hanno indicato, spesso giornate “buche” del tour, che riempiono con un’esperienza anche per loro diversa e gratificante.

Chi desidera partecipare come spettatore riceverà invece, via mail,  informazioni sugli spettacoli proposti nelle case della propria zona.

Se scegli, ad esempio, la casa “Citofonare Capodieci”, ti aprirà la porta Giulia, proprietaria a Milano di un appartamento piccolo e inizialmente – come spesso accade – preoccupata che non fosse idoneo. Rassicurata, ha ospitato fino ad ora 3 spettacoli. “Il bello è che non hai tempistiche fisse ma puoi farlo davvero quando vuoi e puoi. Ho ospitato due spettacoli teatrali e un concerto, un cantautore di origine australiana in tour in Italia, voce e chitarra. Ho un piccolo salotto e la scenografia diventa la mia cucina. Le persone hanno a disposizione sei sedie e poi sistemo cuscini e tappeti per terra. Ho sempre incontrato gente molto stimolante, sia tra gli spettatori che tra gli stessi attori. Sono nate amicizie, ci si scambia ospitalità, e succedono cose divertenti: a me è capitato di dover fare la tecnica, mettere le musiche. Il mio gatto apprezza molto e fa anche la comparsa. È un tipo di teatro che si presta molto all’improvvisazione. E c’è una vitalità che ogni tanto nei teatri italiani si è persa”.

Solitamente i proprietari offrono un aperitivo prima, o un dolce al termine dello spettacolo. Talvolta – ed è indicato sul sito – l’aperitivo è condiviso: ognuno porta, se vuole, qualcosa. Ma c’è anche chi, avendone possibilità, organizza una vera e propria cena o addirittura un evento gourmet.

È il caso di Sophie, che ha appena traslocato: ha lasciato una casa dove non riusciva ad ospitare più di quattro persone a cena ed ora abita un appartamento molto più grande, e ha provato l’esperienza del “palcoscenico” in salotto: “Per ora ho ospitato una sola volta, ma approfittando della cucina open space e dello spazio ampio abbiamo preparato quasi in diretta un aperitivo/cena con due ragazzi  professionisti. C’erano amici, amici di amici e persone che non avevo mai visto. È divertente anche modificare la casa per l’occasione, spostare qualcosa con gli attori un’oretta o due prima dello spettacolo, fare tutti i preparativi”.

Nessun pagamento è richiesto per avere il teatro in casa, ma solo ospitalità.

E come guadagna dunque l’attore? Gli artisti prendono il cosiddetto “cappello”, le offerte del pubblico. Brandi ci spiega: l’offerta è libera –nel senso che non esiste una barriera che neghi l’accesso a chi vuole vedere lo spettacolo – ma c’è una raccomandazione di comportamento: affinché gli attori ricevano un compenso adeguato e il sistema possa continuare a sopravvivere si consiglia di dare almeno 12 euro.  Questa cifra viene raccolta direttamente dall’artista alla fine dello spettacolo, e per un certo numero di repliche (circa il 20%) devolve l’incasso all’associazione. In una casa si va da 25 spettatori, che è la cifra minima, fino a 50. La media è di 30, 32 spettatori ad evento. Le case, inoltre, sono assicurate a spese dell’associazione per danni alle cose e alle persone.

Allestire la scena insieme ai proprietari

A TeatroxCasa arrivano molteplici proposte di spettacoli, ma la selezione è molto alta. Tra gli attori pronti ad entrare nelle nostre case, Emanuele Arrigazzi, che propone “Groppi d’amore nella scuraglia”, testo di Tiziano Scarpa (e che dal 25 gennaio sarà ai Filodrammatici di Milano con “La scuola delle scimmie”).

Con poche spese, ci spiega, gli attori possono avere un’entrata sicura, anche se minore rispetto a un cachet completo, ma sono soldi che si prendono subito, netti, e si è sollevati da questioni di contratti e burocrazia.

Allestire la casa insieme ai proprietari, renderla teatro, racconta Emanuele, è una delle cose più divertenti e interessanti. Ha imparato dagli artisti di strada, che gli dicevano “Trovati nella piazza un fondale e una linea di demarcazione tra te e il pubblico, anche se ce l’hai a un centimetro”. Allora arriva e chiede, ad esempio, se hai un certo tipo di abatjour, oppure sistema il divano, più basso, davanti alla fila di sedie. Nelle case apprezza l’atmosfera conviviale: tu finisci, ti cambi e poi torni, e c’è spesso cibo da condividere, una torta, una bottiglia di spumante, passi da un gruppetto all’altro, hai lo spazio della chiacchiera…

La voce si fa amara quando parla di un pubblico teatrale falcidiato negli anni. La gente, ci dice,  non ha voglia di andare a teatro a vedere una cosa che non ha capito perché deve studiare per avere degli strumenti. “E’ una cosa patetica – sottolinea l’artista -, sono ridicoli quei quattro critici che si mettono lì a spiegare cose che la gente non ha voglia di ascoltare. Ecco perché poi vanno le serie tv. Poi tutti ovviamente hanno necessità di avere numeri, però un conto è avere il teatro semipieno, un conto è contare quattro persone in sala. E noi ci troviamo davvero davanti a questo scandalo. Un paese che sta sempre più affidandosi a nomi, non per forza nomi di qualità”.

Spesso ad ospitare teatro in casa sono famiglie con figli. Per loro questo diventa un modo per veicolare ai ragazzi un messaggio di valore: quello della cultura, dell’esserne fautori, creatori. Spesso si creano delle comunità: le persone continuano a frequentarsi, ci sono case che sono diventate veri e propri luoghi di aggregazione. In una casa di Lecce si sono incontrate persone che poi sono andate tutte in vacanza insieme. Ad Arona si è formato un “circuito” di otto case che hanno programmato la stagione, e così ogni mese in una casa c’è uno spettacolo. Le persone capiscono, innanzitutto, che non è poi così difficile.

Paola, di Milano, racconta: “Per ora ho avuto una sola esperienza, peraltro in una casa molto particolare, dove la proprietaria ha potuto anche creare la zona galleria e la platea, grazie a un soppalco in sala. Come in teatro, ma in un ambiente informale… e tuttavia quando parte lo spettacolo cala il silenzio. E te lo dice una che ha fatto la maschera: dovevo andare a svegliare chi dormiva, redarguire chi usava il telefono, chi si alzava… nulla di tutto questo è accaduto qui. Era anche un monologo, per i bambini un po’ difficile da seguire. Eppure in quel contesto anche loro erano fermi e in ascolto, e poi felici”.

E poi felici. Ci si potrebbe anche fermare qua, con Epicuro, e sarebbe un traguardo eccezionale. Ma questa iniziativa, per il mondo dello spettacolo, acquista anche un significato profondo e lancia un messaggio forte e rivoluzionario: c’è una bella fetta di pubblico che non vuole rinunciare alla qualità, che la pretende, che se le viene negata se la riprende e anzi ci costruisce intorno un  sistema nuovo e vivacissimo.

Perché chi ama il teatro vuole il teatro addosso. E, oggi, può permetterselo. Come i principi e i re d’un tempo.

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