IL MERITO PERDUTO
I “promossi d’ufficio”: colpa dell’inclusione?

Un articolo di Ernesto Galli della Loggia necessita di qualche riflessione. L’offerta didattica e le opportunità formative. La fuga dalla scuola “pubblica”? Talora per una ricerca del voto e del diploma facili

Sul Corriere della Sera di sabato 29 aprile è comparso l’articolo di fondo a firma di Ernesto Galli della Loggia dal titolo “I promossi d’ufficio a scuola”.
I dati relativi a promozioni – abbondanti al Sud – e bocciature – rilevanti al Nord – riportati sono indiscutibili e fotografano una realtà alquanto sconcertante del sistema scolastico italiano che pare reggersi su promozioni d’ufficio e mancanza di selezione degli studenti in base al merito.
Sempre nello stesso articolo si legge che nel 2016 gli alunni promossi alla licenza (quale? licenza media?) in Puglia e Campania con il massimo dei voti sono stati più numerosi di quelli di Lombardia, Piemonte, Veneto, Toscana, Emilia messi insieme.
Diciamo subito che i dati numerici sono oggettivi nella loro globalità, anche se non si specifica la tipologia di scuola e il numero di alunni per classe. Tutto ciò impone una seria riflessione di addetti ai lavori rispetto ad una difformità valutativa così eclatante. Sulle cause però occorre disquisire.
Definire l’inclusione scolastica un’ideologia che da decenni domina la nostra scuola è alquanto sconcertante. L’inclusione non è quanto affermato dal docente universitario – “l’idea che compito della scuola non sia quello di impartire conoscenze ma soprattutto di non lasciare nessuno indietro” -, ma la conseguenza di un processo articolato che include la programmazione e la valutazione degli apprendimenti in un’ottica decisamente meritocratica: ciascuno ha degli obiettivi, delle competenze, un percorso individuale e deve raggiungere traguardi didattici con fatica e impegno. Una scuola inclusiva deve sempre promuovere il diritto per ogni studente di essere considerato uguale agli altri e diverso insieme agli altri.

Un processo rivolto all’intera sfera educativa

Ciò significa che ci troviamo di fronte ad un processo che si riferisce alla globalità della sfera educativa, sociale e politica, guarda a tutti gli alunni indistintamente e differentemente a tutte le loro potenzialità, interviene prima sul contesto e poi sul soggetto trasformando la risposta specialistica in ordinaria.
La scuola inclusiva combatte l’esclusione di una vita scolastica vissuta ai margini con un’offerta formativa ricca di proposte didattiche, è uno spazio di convivenza democratica nel quale il valore dell’uguaglianza va ribadito e ristabilito nel rispetto delle diversità. Questa è l’inclusione.
Tutto ciò non significa no al merito, no alla bocciatura. L’uguaglianza sta nell’offrire a ciascuno gli strumenti per misurarsi con i saperi e con le abilità, in buona sostanza acquisire le competenze.
Anche la valutazione degli apprendimenti è un processo che ha subito negli anni profondi mutamenti e ampliamenti, esiste un profilo pedagogico, amministrativo e docimologico – cosa fa il docente per conseguire determinati obiettivi – da considerare.
Attualmente dal punto di vista pedagogico il percorso valutativo appare come un’operazione diagnostica per la quale, rispetto ad ogni allievo, dovrebbero essere presi in considerazione gli aspetti” misurabili” del suo apprendimento (abilità, conoscenze , competenze), il suo stile cognitivo e le dinamiche affettivo-relazionali che entrano in gioco. La valutazione degli apprendimenti è di conseguenza legata alla programmazione didattica, anzi alcuni autori ritengono siano di fatto la stessa cosa.
Questi due momenti richiedono competenza, capacità e intelligenza pedagogica da parte dei docenti che dovrebbero essere sempre formati in quanto professionisti.
L’accenno che si legge nell’articolo rispetto all’autonomia scolastica sostituita “ormai da universalismo” di una scuola che aprendosi al territorio perde di vista il suo ruolo primario ( immagino trasmissione dei saperi) è poco comprensibile.
L’autonomia scolastica ( dpr 275/99) riconosce il ruolo dell’istituzione scolastica inserita in un territorio e dialogante con esso; ribadisce l’identità giuridica di un baluardo di cultura. Nessuna scuola riceve finanziamenti statali maggiorati per i livelli di promozione alti – come sostiene Galli della Loggia – e nessun dirigente scolastico vede progredire la propria carriera se la scuola da lui diretta ha dati di promozione massicci. I finanziamenti sono scarsi da sempre anche in casi di bocciature. Lo stipendio del dirigente è articolato in base a parametri che nulla hanno a che fare con quanto affermato nell’articolo, per una parte variabile sono quantificati rispetto alle cosiddette “fasce di complessità” prestabilite dal ministero dell’istruzione ogni anno, quindi nessuna progressione di carriera.

Voti e autonomia di giudizio: il principio della trasparenza

Nessuna nuova normativa inoltre ha modificato ciò che da sempre è la regola delle operazioni di scrutinio intermedio e finale. Lasciamo ancora la parola al docente, che invece scrive: “nel nostro sistema infatti – in base a una disposizione che risale, credo, al lontanissimo 1925 – ma che la voga democraticistica postsessantottesca e le conseguenti disposizioni ministeriali hanno enormemente rafforzato – non è il singolo docente ad assegnare i voti di fine anno… I professori hanno in pratica un semplice diritto di proposta, ma chi poi decide è il consiglio di classe a maggioranza”. Le cose non stanno così’. Ciascun docente esprime il proprio voto di materia supportato da un giudizio motivato desunto da un congruo numero di interrogazioni e di esercizi scritti. Il docente è tenuto a dare motivazione della sua proposta di voto in base a criteri individuati dal Collegio docenti. Ciò corrisponde al principio sacrosanto della trasparenza. Il dirigente scolastico presiede il consiglio di classe e vigila sulla correttezza degli atti e dei documenti – le interrogazioni e i compiti in classe di cui s’è detto – e solo in caso di parità nella votazione dei componenti il consiglio di classe, nel momento in cui vada in discussione l’eventuale bocciatura, il suo voto è determinante e prevale senza però apporre modifiche alla votazione assegnata.
Infine, la contraddizione secondo la quale la promozione di massa sia uno strumento per non far diminuire il numero di alunni, quasi fosse una strategia di marketing, è quanto meno bizzarra. Se così fosse sarebbe vero proprio il contrario: più bocciati, più classi l’anno successivo, soprattutto nelle zone in cui è presente un calo demografico.
Un’ultima riflessione: l’assunto per il quale le famiglie che hanno gli strumenti per capire che grazie all’istruzione si costruisce l’avvenire e quindi, potendo scegliere, si rivolgono a scuole straniere o all’estero mi lascia perplessa anche perché dopo anni trascorsi nella scuola pubblica, prima come docente e poi come dirigente scolastico, ho visto molti fuggire da essa, alla ricerca però di percorsi facili e diplomi raggiungibili: con quale merito?

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