La scuola dei piccoli. Dimenticata

Il Consiglio dei Ministri ha approvato la legge delega per la creazione del sistema integrato da 0 a 6 anni che riformerà il percorso educativo per i bambini in età prescolare (ddl 1260)

Altre sette deleghe sono state approvate, ma senza dubbio l’attenzione ad un segmento scolastico come quello della prima infanzia è degno di nota. Da tempo la scuola “dei piccoli” ha recitato la parte della cenerentola rispetto alle varie e pasticciate riforme che hanno investito ( il termine non è utilizzato a caso) la scuola italiana.
Negli ultimi dieci anni, fra i nostri governanti di ogni colore politico, si è diffusa la consuetudine di legiferare in ambito scolastico, troppo spesso, ahinoi, con scarsa competenza e scarsa conoscenza della realtà.
Pensare alla scuola in modo astratto e teorico è un conto, vivere la scuola nella quotidianità è altro.
Il percorso educativo e formativo inizia appunto dalla prima infanzia spesso relegata come riposta ad un bisogno individuale della singola famiglia, quasi fosse un servizio sociale, dimenticando che, come avviene nei paesi europei, l’attenzione a questo segmento formativo dovrebbe essere altissima.
In ogni borgo, in ogni quartiere di città l’istituzione di un polo per l’infanzia avrebbe dovuto e dovrebbe essere una risorsa, un’opportunità generalizzata, un’offerta formativa a disposizione di ogni bambina o bambino, con la consapevolezza che gli stimoli che i piccoli ricevono nei primi anni di vita sono decisivi per lo sviluppo armonico della persona.
Allora ci domandiamo: perché non estendere l’obbligo scolastico a partire dai 3 anni?
Ancora oggi nella riforma della cosiddetta “buona scuola” si parla di obbligo scolastico ai 5 anni, mentre l’obbligatorietà della scuola dell’infanzia non è mai stata considerata.
Alcuni dati ci consegnano una disuguaglianza sul territorio nazionale, coperto da appena il 17% del fabbisogno per i nidi con punte prossime allo zero nel meridione d’Italia (2% in Calabria). Le liste d’attesa si allungano sempre più per le iscrizioni alle scuole dell’infanzia: l’obiettivo è il raggiungimento del 33% di presenza della scuola dell’infanzia su tutto il territorio nazionale per raggiungere i livelli europei.
Veniamo alla riforma in atto e all’importanza di un progetto integrato da zero a sei anni.
L’intento del legislatore è quello di creare un nuovo sistema di istruzione in quella che probabilmente è la fase più delicata della crescita. Si prevede la generalizzazione della scuola dell’infanzia con l’introduzione dell’obbligo di qualifica universitaria del personale, unitamente ad una formazione continua e la ridefinizione di standard qualitativi di un servizio ad alto livello.
Ci si dimentica però che varia è la natura delle scuole stesse: vi sono scuole statali, comunali, private e paritarie. Sono differenti non solo la gestione delle stesse, ma i contratti del personale in servizio a partire dagli insegnanti.
Verranno creati poli scolastici in un’ottica di continuità curricolare: con chi? Bisogna tener presente che il curricolo è un processo complesso, in quanto prevede non solo obiettivi comuni ma percorsi comuni, coinvolgimento del personale e condivisione di strategie educative.
Leggendo con attenzione quanto previsto dalla riforma emerge la scarsità di risorse economiche (previsti 200 milioni di euro), assolutamente insufficienti per un progetto di tale portata tenendo conto delle differenti realtà territoriali da nord a sud del nostro paese, l’inadeguatezza delle strutture scolastiche esistenti, dove la manutenzione lascia a desiderare, già ora insufficienti ad accogliere le richieste di oggi. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una legge con ottime e valide intenzioni, ma scarsamente praticabili nella realtà.
Il reclutamento del personale come avverrà? Sono previste nuove assunzioni da un minimo di 1000 unità ad un massimo di 5000: dove? Nello stato, nei comuni , nelle scuole paritarie, nelle private? Si consideri che ad oggi ben 18mila docenti statali risultano iscritti nelle graduatorie ad esaurimento, le cosiddette Gae (graduatorie ad esaurimento), e molti non possiedono il titolo universitario. In particolare la delega parla di “servizio integrato” introducendo addirittura momenti di compresenza di personale differente, vale a dire educatori dei nidi e docenti delle materne, come se fosse semplice e automatico: non è così. Inoltre parlare di servizio integrato penalizza, a nostro avviso, la scuola dell’infanzia, poiché essa è già inserita in un percorso formativo in stretto contatto con la scuola primaria. Dopo anni la scuola dell’infanzia è concepita oggi non solo come mero “servizio”, ma come istituzione integrata nel sistema istruzione, visti i livelli di qualità ormai raggiunti con riconoscimenti a livello internazionale.
E’ lungo il cammino che devono ancora percorrere il legislatore, da un lato, e le parti in causa, dall’altro, ovvero docenti e personale non docente, affinché il percorso sia condiviso e arricchito da preziose indicazioni di chi ha competenza. Una lacuna grave che va sanata.

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