CORSI DI FORMAZIONE
CHI NE VERIFICA LA VALIDITÀ?

Le aziende chiedono maggiore formazione per i giovani. Ma il florilegio di proposte di seminari non sempre si accompagna a un riscontro accertato sotto il profilo didattico applicativo

In buona parte delle piccole e medie imprese è divenuta una richiesta irrinunciabile: la formazione. Sono molti gli imprenditori che lamentano una scarsa preparazione di base nello svolgimento di attività sempre più diffuse. In base a una recente analisi condotta da più soggetti – atenei pubblici e privati, studi professionali, istituti specializzati – risulta che sono una quindicina i corsi di specializzazione più richiesti, fra i quali i settori amministrativo/contabile e digital marketing; SEM Specialist (Search Engine Marketing Specialist); social media specialist; sviluppatore web; UX designer (User Experience Designer); settore logistica; settore distribuzione commerciale (fonte: Targetsolution).

Si dirà: bene, sappiamo come e dove indirizzare i giovani. Con un’adeguata promozione si susciterà l’interessamento di coloro che desiderano svolgere un’attività con una qualifica e una preparazione di base più che soddisfacenti.

Non è così. O per meglio dire non sempre è così. Quanti e quali tipi di corsi esistono in Italia? Sull’aspetto quantitativo, difficile dare una risposta, mentre sotto quello qualitativo, nella scuola pubblica e negli istituti privati, abbiamo gli istituti professionali tradizionali ai quali si aggiungono i corsi triennali senza trascurare i corsi post-diploma; poi vi sono corsi professionali della durata anche di quattro semestri…  A questi si aggiungono i corsi degli ordini professionali Ma il florilegio di proposte è ampio, articolato, non sempre valutabile, sotto il profilo qualitativo.

Questo sta divenendo l’autentico problema: chi valuta i docenti? Chi valuta la qualità del percorso didattico? E in taluni casi non si tratta di un mero atto di presenza per conseguire il punteggio necessario al proseguimento della propria attività?

In alcuni casi c’è un esame, una verifica finale per giungere a una valutazione, quanto attendibile non si sa, ma esiste questo passaggio. La perplessità è legata al fatto che fra i privati vi sono dei costi da sostenere – chiamiamole anche rette – che inducono a qualche riflessione (dubbio) sulla trasparenza dei giudizi finali. In altri termini: “io pago, tu mi promuovi”.

Certamente se un giovane ha svolto un corso per saldatore non può ingannare nessuno, una volta messo alla prova. Ma ci sono corsi ove l’ambito discrezionale nel procedimento didattico e nel giudizio finale è talmente elastico che qualche perplessità rimane: si pensi ai corsi sulla comunicazione – analisi del linguaggio? rapporto interpersonale? Scritto e/o orale? -, sul marketing –  la visione di Kotler oppure lo stravolgimento introdotto dalla sostenibilità? Oppure il marketing declinato in ambiti diversi (moda, ristorazione, auto)? – sul digital marketing, sulla gestione dei social media… E via dicendo.

Tutto molto interessante, coinvolgente e stimolante per i giovani che vogliono dedicarsi a un’attività. Rimane spesso il problema di una verifica, perché se un corso di formazione professionale è svolto in maniera inadeguata crea un danno sociale di notevoli proporzioni, con il rischio di diffondere prospettive illusorie fra coloro che, con impegno, spendono tempo e denaro per una ricerca che porta a un binario morto.

Molte aziende si impegnano in questo sforzo promozionale per i corsi di specializzazione, ma, come ricorda un articolo di Italia Oggi (7 marzo scorso) “l’Italia, nonostante un graduale miglioramento degli ultimi tre anni, rimane sotto la soglia della media europea, posizionandosi al 15esimo posto con una percentuale del 9,9% della popolazione tra i 25 e i 64 anni che partecipa costantemente a corsi di formazione e di qualificazione professionale”.  E pochi sanno che il 2023 è “L’anno europeo delle competenze”. Chi verificherà queste competenze?

 

 

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