ASSENZA DI CONFRONTO - Le istituzioni, gli organismi rappresentativi, chiedono interventi innovativi. Ma dal Parlamento non giunge alcun segnale di ascolto.

IL CORO DEI SOLISTI

Innovazione è un termine molto diffuso fra i politici. Ma sanno di cosa parlano?

La parola “innovazione” è tra le più pronunciate dai personaggi della politica e delle istituzioni. La si studia soprattutto nelle facoltà universitarie di economia e di ingegneria, la si applica nelle imprese laddove si trovano le competenze e le risorse. Le parti sociali insistono sulla necessità di fare “innovazione”; per l’immaginario collettivo la questione si riduce all’introduzione di qualche sofisticata applicazione nella vita quotidiana e lavorativa. Innovare molte cose e la ridondanza delle sfumature è ormai evidente. Il termine, con la sua inflazione di adozioni, si sta svalutando. Ma finché non si trova qualche altro preparato alchemico da inculcare nelle menti attraverso la comunicazione mediatica, ogni governo – e con esso ogni opposizione – calcherà la mano sul tema, con variazioni ed esternazioni impulsive.

Qualche istituzione di rilievo, tra cui possiamo annoverare Confindustria, Confartigianato e Confapi – mi scuso se ne ho tralasciate altre – hanno ben compreso la situazione paludosa nella quale ci si è arenati, dove ai proclami e ai contro proclami spesso non seguono fatti di rilievo, in grado di mutare la direzione del Paese.

Ecco per esempio alcune domande su cui i politici italiani (intesi a largo spettro) non hanno idee chiare e comuni. Quali settori produttivi saranno strategici per i prossimi dieci anni? Su quali segmenti dell’industria sarebbe meglio investire di più per garantire la crescita futura del Paese? Come impostare una politica espansiva che sappia creare nuove figure professionali adatte ai tempi nuovi, all’intelligenza artificiale, alle nanotecnologie, agli standard di comunicazione come il 5G e il prossimo 6G? Come riformare il sistema previdenziale alla luce dei mutati quadri demografici? Quale sanità vogliamo per il prossimo decennio?

Chi si occupa di innovazione tecnologica e studia i settori dove questa viene applicata, prendendo spunto dalle più avanzate esperienze internazionali, sa come rispondere a queste domande e saprebbe impostare una sana riforma strutturale. Da qui lo scatto di orgoglio di alcune istituzioni perché le parole non siano frasi vuote ma espressione di cultura e di modelli d’azione. Invece il percorso del nostro Paese – transitato in pochi anni da modelli di marcata austerità ad altri di accentuato pauperismo – sembra aver preso la direzione sbagliata. Meno male che qualcuno se ne è accorto e ora è pronto a correre ai ripari chiedendo reali interventi. Perché intorno a noi c’è un coro che intorno all’innovazione (e al cambiamento) pensa di cantare la stessa partitura, L’effetto però è complessivamente stonato. Perché quello che abbiamo davanti non è un coro, ma una marmaglia di solisti, talvolta improvvisati. Anche questo però è un atavico aspetto dello spirito italico. Lo aveva compreso bene Federico Fellini, che lo rappresentò con sagace genialità nella sua opera cinematografica meno conosciuta, L’orchestra. Aveva ragione, Fellini, allora. E ha ragione ancora.

 

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