Innovazione, parola (ab)usata dalla politica. Isolata nella realtà

Sono molteplici le aree tecnologiche in fase di sviluppo, un’evoluzione ignorata dal mondo istituzionale

In campo politico e mediatico – lo sperimentiamo ogni giorno – c’è un grande utilizzo, quasi un abuso, della parola “innovazione”. Come se questa fosse una entità separabile dal contesto delle relazioni reali. Innovare richiede la capacità di connettere le idee tra loro e queste con la realtà, sia essa naturale come l’ambiente, sia essa artificiale come ad esempio il capannone industriale.

A rigor di logica si dovrebbe dunque parlare di “innovazioni”, al plurale, proprio per mettere in evidenza la grande potenzialità poliformica del pensiero e dell’agire, che sono prima di tutto sempre e solo umani.

A ben guardare non è una questione di poco conto, perché in sostanza l’innovazione tecnologica si avvale di contesti disciplinari e di ambienti specifici dove viene sviluppata e applicata. A livello internazionale – tra i maggiori studiosi di innovazione – si è diffusa la convinzione che nei prossimi anni i trend più significativi in campo economico saranno dettati dagli sviluppi delle conoscenze in queste quattro aree tecnologiche: 1) genomica e biotecnologie, 2) nanotecnologie e scienza dei materiali, 3) information technology e telecomunicazioni, 4) robotica e intelligenza artificiale. Questi sono gli indirizzi che vengono segnalati e descritti da eminenti studiosi come gli assi portanti dell’evoluzione sociale.

Bene, se queste sono le tendenze in atto e le direttrici più significative lungo le quali sarà costruito il nostro futuro, perché la politica non si esprime e non indica una precisa visione di investimenti verso queste aree che sono insieme disciplinari e economiche? Da che cosa vogliamo far dipendere il futuro del nostro Paese, che quest’anno ha il vanto e l’onore di ricordare il 500esimo anniversario della morte di Leonardo da Vinci?

Manca un progetto “visionario” al nostro mondo istituzionale, che sembra barcamenarsi su aspetti marginali della vita sociale e lavorativa. Intanto mancano tecnici specializzati per l’industria 4.0. Mancano anche i medici per le strutture sanitarie e gli insegnanti nelle scuole. Dove crediamo che si possa andare, di questo passo?

 

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