Micaela Mainini

JAMAICA, CITTÀ DENTRO LA CITTÀ
UN BAR NELLA STORIA DI MILANO

“Nonostante la caduta di umanità, qui ci si saluta ancora, ci si rispetta”, osserva Micaela Mainini, terza generazione della famiglia che aprì il locale nel 1911. Artisti, politici, letterati: molti i personaggi che lo hanno frequentato. “I giovani di oggi? Devono produrre idee”

Proprio vero: la storia, quella quotidiana, quella di una Milano mai uguale a sé stessa, nel tempo, anche la storia del Bar Jamaica si rinnova di continuo. Dal 1911 il locale di Brera è un punto di riferimento per la gente che ama incontrarsi. Intellettuali, artisti, cittadini comuni, turisti… il mondo transita da Brera e non può fare a meno di fermarsi al Jamaica per bere o mangiare qualcosa ma, soprattutto, per la prossimità che si crea con l’altro da sé. Ed è così, da oltre un secolo, con la stessa famiglia Mainini a gestire il locale. Iniziò Carlo Mainini al quale seguì il figlio Elio e, dal 1999, la nipote Micaela: “Noi siamo una città dentro alla città”, osserva la titolare mentre siamo seduti a un tavolino proprio in via Brera, a circa cinquanta metri dalla storica Accademia. “Nonostante la costante e avvilente caduta di umanità, qui ci si saluta ancora, si vive sempre con grande rispetto del prossimo. Sì, qui si trova il benestante, ma non è un quartiere di rampanti, qui una persona diventa un cittadino, è un po’ una regola, se non viene accettata quella persona deve cambiare zona”.

Dagli anni della “Milano da bere”: a sinistra, in primo piano, il sindaco di allora, Carlo Tognoli. Dietro di lui, il filosofo Salvatore Veca a fianco del quale c’è Elio Mainini, all’epoca titolare del Jamaica.

“Certo, per quanto riguarda i negozi, è tutto cambiato, il negozio di vicinato non esiste più, le grandi catene di distribuzione hanno assorbito tutto”, sottolinea Micaela. “e così troviamo, sì, dei negozi, ma siamo nell’ambito del lusso dell’esclusività, con antiquari, anche con ‘la via del the’, con l’arredamento, le calzature…”.

Tavolini all’aperto in una serata estiva.

“Al Jamaica c’è ancora un bicchiere di vino o un panino – così si legge nelle note di presentazione di ciò che offre al cliente il Bar Jamaica – per i molti intellettuali e personaggi della Milano più viva che, in un modo o nell’altro continuano a circolare attorno a questo polo. È possibile mangiare qualcosa a tutte le ore, che sia un’insalata, un sandwich, un piatto di pasta, o un’improbabile focaccia di Recco, che altrimenti occorrerebbe andarla a prendere in Liguria, magari in nottata. Allo stesso modo, vi si possono trovare giocatori di scopa dalla parlata milanese, e nel tavolino affianco turisti. Passare la sera nell’ultimo tratto di Brera, quello proibito al traffico, è come andare a Saint-Germain dal lato dei caffè storici”. Ma perché questo nome esotico? È al musicologo Giulio Confalonieri che si deve il nome attuale. La leggenda vuole che lo studioso lo avesse evocato per antifrasi con le grigie giornate milanesi. Confalonieri si sarebbe ispirato a un film inglese del ’39, “Jamaica Inn”, o meglio, “La taverna della Jamaica”, interpretato da Charles Laughton e Maureen O’Hara, per la regia di Alfred Hitchcock. Grazie anche al successo del film, uscito in Italia alla fine della guerra, quella del “Jamaica” divenne una delle insegne più famose del Paese. E uno dei ritrovi più frequentati da artisti, politici, letterati, fra i quali si ricordano  Luciano Bianciardi, Ugo Mulas, Mario Dondero, Carlo Bavagnoli, Uliano Lucas, Camilla Cederna, Piero Manzoni, Emilio Tadini, Gianni Dova, Roberto Crippa, Cesare Peverelli, Bruno Cassinari, Ernesto Treccani, Ennio Morlotti, Lucio Fontana, Germano Lombardi, Nanni Balestrini, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo, Valerio Adami, Guido Aristarco, Allen Ginsberg, Dino Buzzati, Ernest Hemingway, Enrico Baj, Dario Fo, Bobo Piccoli, Ibrahim Kodra, Alberto Zilocchi, Ugo Guarino.

La copertina del libro, dedicato al locale, ricco di immagini realizzate da fotografi famosi. In questa foto – periodo 1953/1954 – compaiono la scultrice Lydia Silvestri ed Elio Mainini.

“Certamente l’umanità e la fratellanza che c’erano negli anni 50, 60, 70 sono sparite”, sottolinea ancora Micaela Mainini. “L’Accademia è qui a due passi, e sempre qui in zona c’erano gli studi degli artisti, il locale era sempre aperto, si chiudeva solo il giorno di ferragosto. Oggi non è più così, pur con il rispetto fra le persone di cui ho parlato”. Cosa bisogna fare per modificare le cose? “Dobbiamo far riscoprire ai giovani il senso di casa e di famiglia. Il Bar Jamaica è sempre stato una fucina di idee, ecco, i giovani devono promuovere nuove idee. In ogni caso, sono orgogliosa di far parte di un pezzo di storia”. E il Bar Jamaica è parte della storia di Milano.

www.jamaicabar.it

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