Alessandro Plateroti, Foto: Radio 24

AZIENDE, COSÌ “IBRIDE” E INCERTE URGONO FORTI INVESTIMENTI

Plateroti: stanno nascendo nuovi servizi. Carenza legislativa nella cyber security

Le cifre sono inequivocabili: le stime di Banca d’Italia indicano in circa novemila le aziende che hanno chiuso i battenti fra marzo e settembre , un semestre – o poco più -decisamente nero. E, come riporta il Sole 24 Ore del 22 dicembre, il lockdown “della scorsa primavera ha fatto lievitare il rischio di infiltrazioni criminali e riciclaggio per alberghi, ristoranti e agenzie di viaggio, i settori più colpiti dalle chiusure. Il numero delle società di capitali vulnerabili – scrive il giornale della Confindustria – è infatti quasi triplicato passando dalle 7.228 imprese in difficoltà già prima del Covid alle 20.450 (13.222 in più) del dopo lockdown…”.

Un bollettino di guerra che non lascia adito a dubbi sulle immani complessità che il sistema economico italiano si trova ad affrontare.

Ma c’è qualcosa di più dissimulato, quasi mai contemplato, che rallenta la possibile ripresa di alcune imprese, libere da impedimenti di natura criminale o burocratica (ovvero, i cosiddetti ristori elargiti con lentezza): l’incertezza degli imprenditori, del management che dovrebbe guidare con competenza le aziende, e le migliaia di dipendenti che da esse traggono lavoro e salario.

Ne parliamo con Alessandro Plateroti, editorialista del Sole 24 Ore.

Il mondo è cambiato, le aziende un po’ meno, verrebbe da dire…

Ci troviamo di fronte a una economia ibrida, ovvero a un forte richiamo, se così vogliamo definirlo, da parte della digitalizzazione, mentre in Italia viviamo ancora una realtà manifatturiera. In un contesto come questo, per affrontare il salto digitale, sono richiesti cospicui investimenti, difficili da attuare in un panorama di grave contrazione finanziaria. C’è bisogno di un’imprenditoria diversa, di quei wild spirits, come venivano definiti una volta, nell’ambito digitale. C’è bisogno di grande creatività, ce lo dimostrano molti operatori che hanno scoperto il servizio a domicilio, non solo nella ristorazione, con un adeguamento alla realtà che ci circonda.

E in ambito finanziario come si muove il mercato?

Si pensi a Uber, per fare un esempio: una società che non possiede auto, ma offre un servizio utilizzato da un numero crescente di persone. E le quotazioni salgono. Inoltre c’è da segnalare un fenomeno molto chiaro: gli imprenditori che trovano rendimenti dell’ordine del 20% investendo in borsa, mentre registrano magari un risicato 3% con investimenti in azienda, con tutte le difficoltà burocratiche del caso, secondo te che scelta fanno? Certo, è triste registrare che c’è una minore propensione a fare impresa, ma così è. Ricordiamoci che un Paese cresce quando trova una collocazione all’interno del mercato internazionale. L’Italia, ripeto, è in una posizione ibrida.

Nell’ambito dell’information technology gli operatori segnalano un ritardo culturale soprattutto per ciò che concerne la cyber security. Mancano addetti, professionisti, a occuparsi di questo aspetto molto importante. Come rimediare?

Senza dubbio l’allarme è stato dato e gli imprenditori faranno bene a correre ai ripari, sarà anche un fatto culturale. D’altra parte nel giro di cinque anni il settore informatico ha registrato un’accelerazione senza precedenti. Ma qui si inserisce un altro problema non di poco conto che dovrebbe destare l’attenzione anche del legislatore. Si lavora molto in smart working, io utilizzo il mio pc che contiene una serie di dati e informazioni, che ho raccolto anche in forma riservata, a favore del giornale o dell’azienda per cui lavoro. Il mio pc subisce un attacco informatico: chi è responsabile di fronte all’azienda? Ci sono già delle cause in atto con studi legali che cercano di trovare il bandolo della matassa, ma non è facile, c’è una carenza legislativa. Ecco, sì alla cyber security ma con garanzie certe per chi lavora soprattutto in smart working.

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