COINCIDENZE E FAKE NEWS.
IL PREZZO DA PAGARE
PER LA LIBERTÀ DI OPINIONE

Paura e disorientamento come conseguenza della Rete invasa da notizie false e contraddittorie. Come distinguere il vero dal falso? La libertà di opinione va sempre difesa e resta il male minore

Da più di 20 anni studio, mi informo, promuovo, con il mio Centro Culturale Candide, la cultura e l’etica ambientale, dimostrando senso civico oltre l’impegno professionale di avvocato, organizzando convegni e fondando il Comitato Nazionale Amianto Eppur si muore, che insieme all’O.N.A. di Roma conduce battaglie senza sosta per le vittime dell’Eternit e per fare rimuovere i residuati contenenti amianto ancora sparsi per l’Italia. Se parliamo di inquinamento non dobbiamo mostrare indifferenza, però, a ciò che viene diffuso dei media come “informazione”, molte volete viziata e inquinata a partire dalle fonti. Con tale retroterra di impegno civile pensate che qualcosa sfugga allo scrivente e che non abbia senso critico anche a proposito dell’attuale pandemia?

Il grave problema dell’Italia, a dispetto del grande patrimonio storico nell’arte e nella cultura, sono ancora i moltissimi che se ne fregano, e ancor peggio coloro che anziché “guardare la luna” se la prendono con “il dito” che la indica, e ridono di chi denuncia luoghi comuni, le fake news di regime, le stragi di Stato, i complotti veri, come se fossero fantasia di chi li descrive, come se chi denuncia avesse egli stesso colpa delle false informazioni che sta denunciando. L’ignavia e l’ignoranza si manifestano in vari modi, uno di questi è il disimpegno civile.

Internet in chiaroscuro

Eppure abbiamo Internet, i cui effetti positivi sono emersi per primi: la condivisione della conoscenza, la diffusione della cultura, l’allargamento e il collegamento dei mercati, i vantaggi per i consumatori, l’allargamento della partecipazione popolare alla vita sociale, politica e della società civile.

Dopo sono arrivati anche gli effetti negativi: la diffusione della cultura e della conoscenza ha comportato un attacco ai diritti di proprietà industriale; l’informazione su prodotti e servizi ha portato con sé atti di pubblicità occulta o menzognera; l’allargamento della partecipazione politica e sociale alla società civile ha fatto anche da terreno fertile per gli attacchi cibernetici e informatici.

Certo, meglio un sovraccarico di informazioni che una penuria delle stesse, perché la libertà di editare e di esprimere il pensiero è una conquista irrinunciabile. Eppure la libertà di diffondere il pensiero in Rete ha portato al fenomeno negativo delle notizie false che girano e che vengono definite “fake news”. Le quali fanno parte proprio di quell’informazione inquinata della quale i più non si rendono nemmeno conto.

È lecito ora, anzi doveroso, porci la domanda: in questo proliferare di notizie conseguenza di un’era in cui il citizen journalism, i blogger, gli influencer, i social spadroneggiano, dove nomi anche noti editano video con amenità varie, le capacità di discernimento e lo spirito critico bastano a distinguere il vero dal falso?

Nel mese di maggio 2020 intervenni come relatore in un convegno in Zoom, dal titolo “Pandemia e infodemia”, insieme al prof. Ruben Razzante, il quale precisava che la “Task-force anti fake news” che era stato chiamato a presiedere non aveva alcuna autorità di “Ministero della verità” dovendo essere considerata piuttosto come un comitato che aiuta la cittadinanza a non farsi ingannare dalle false notizie in questo clima di “infodemia” che tutti noi quotidianamente constatiamo.

Campagne mediatiche

Non è dubbio che l’isteria collettiva generata da Covid-19 in Italia sia (stata) un fenomeno di proporzioni spaventose e con effetti imprevedibili, ma è certo che le campagne mediatiche di allarmismo serviranno a giustificare ancora la corsa all’acquisto di milioni di dosi di vaccino, a pandemia conclusa, che farà la fortuna delle multinazionali farmaceutiche.

Il collega e consigliere comunale a Milano,  l’avvocato Giampaolo Berni, mi aveva infatti invitato ad essere relatore in tale convegno perché aveva letto un mio articolo, ripreso dalla rivista BresciaToday, dal titolo “Bufale e fake news: le 10 regole per riconoscerle”, in cui ricordavo il decalogo offertoci da Facebook. Certamente, in questa situazione infodemica, sosteneva, queste regole dettate dal buon senso non basta(va)no.

In tale articolo sottolineavo di avere sottoscritto e diffuso, invitando a fare altrettanto, l’appello del giornalista Massimo Mazzucco in difesa dell’informazione libera e indipendente contro le fake news dell’informazione non libera e dipendente dalle holding e multinazionali farmaceutiche.

Le faccine sbalordite o sorridenti che poi ho visto a commento dei miei post sulle origini della pandemia dimostrano la presuntuosa ignoranza di chi si rifiuta di ascoltare e approfondire, di chi parla di complottismo pure in assenza di complotto, se qualcosa si discosta dalle notizie che sente guardando la televisione sua unica fonte di informazione. E’ l’ignoranza del disimpegno – ora che l’origine artificiale del virus bioingegnerizzato Sars-Cov-2 è ammesso dall’informazione su scala globale -, del rifiuto di riflettere e ragionare il primo virus da combattere, non tanto la “infodemia”…

Ci veniva il sospetto a che una task force governativa che stabilisca che cosa è vero e che cosa è falso, nonostante tutte le buone intenzioni del prof. Razzante, sia strumentale ad una sola verità da imporre, magari per coprire una bolla sanitario-finanziaria di proporzioni mondiali. E questo mentre fioccano le azioni di denuncia, tra le quali anche quella dell’avv. Berni, e di class action contro i provvedimenti e i decreti al punto da rendere il nostro Presidente del Consiglio la persona più denunciata della storia d’Italia.  In questo scenario, ben venga anzi un sovraccarico di informazioni, da vagliare con senso critico – ribadivo – piuttosto che una penuria di informazioni o, peggio, un’informazione a senso unico che si impone e prevale per mancanza di senso critico di una cittadinanza impaurita.

Abbiamo sopportato e continuiamo a sopportare le misure restrittive della libertà personale, peraltro di alquanto dubbia costituzionalità, che ci obbligano a restare a casa, per ragioni di salute pubblica. Ora la paura del contagio, prima ancora che delle sanzioni, potrebbe farci accettare ulteriori misure e forme di profilazione invasive della privacy. Non è dubbio che la salute pubblica sia più importante di qualsiasi privatezza e che lo stesso GDPR General Data Protection Regulation preveda linee guida all’uso di informazioni per ragioni di salute pubblica. L’importante è però che misure sancite e applicate in condizioni di pandemie straordinarie non diventino poi normali una volta superata l’emergenza.

Libertà di pensiero

Se non ci rendiamo conto di questo pericolo, di questa grave minaccia dei valori costituzionali, significa che gli anticorpi che mancano non sono quelli contro il Coronavirus, bensì quelli in difesa della libertà autentica di pensiero e di informazione, unici strumenti cognitivi per essere uno stato laico, moderno e aperto. E questo nonostante il lascito di illustri pensatori come Mazzini, Cattaneo – bene ha fatto l’avv. Berni a rievocarne la memoria in un precedente convegno – Gioberti. Ci renderemmo conto che si tratta di un problema di salute immunitaria già compromessa più che di un problema virale: noi da sempre conviviamo con i virus, siamo fatti di miriadi di virus e batteri. Ma siamo stati bombardati con dati di mortalità, che sono presenti ogni anno e pure maggiori per altre malattie, gonfiati per l’anno 2020 attribuendole a Covid-19

Ora, al di là delle “sbalorditive coincidenze” che si trovano nella storia di questo virus SARS-COV-2, e della relativa infezione Covid-19, nei precedenti esperimenti in laboratori di bioingegneria, come il laboratorio proprio di Wuhan, epicentro della epidemia, con coronavirus ad effetti identici a quelli dell’attuale e artificialmente creati (mi riferisco al servizio della trasmissione “Leonardo” di RAI3 nel 2015), sta di fatto che questa  pandemia mondiale dichiarata tale dall’OMS in data 11 marzo 2020, corrisponde in pieno a quanto pronosticato, se non progettato (come dicono i c.d. complottisti), dal programma ID 2020 per “immunizzare” la popolazione mondiale con la biometria digitale.

Se non saremo vaccinati saremo invisibili, non identificabili, incapaci di accedere all’assistenza sanitaria, all’università, al lavoro, non potremo votare, né aprire un conto corrente bancario. Ma questo è un bene o un male? Lascio a voi giudicare.

Certo è che abbiamo la tecnologia necessaria per fare il salto quantico dell’umanità grazie alla decentralizzazione e alla condivisione, alla telematica e alla robotica, ma le vecchie logiche neoliberiste del profitto, alimentate dai grandi gruppi di potere e dalla ricchezza nelle mani di pochi, sembrano sempre sbarrarci la strada.

Sono tuttavia convinto che la nostra gloriosa nazione, culla del Rinascimento, saprà fronteggiare anche questa grave emergenza. Ricordiamo che senza l’Italia la stessa storia europea sarebbe stata diversa. Sono italiani i primi artefici dell’identità europea nei suoi punti essenziali (Giuseppe Mazzini, Altiero Spinelli); sono italiani i primi nel mondo che rifiutarono la tortura e la pena di morte (Cesare Beccaria. Pietro Verri); italiani sono coloro che si batterono per la libertà di pensiero e prezzo della vita morendo sui roghi (Giordano Bruno, Giulio Cesare Vanini).

Come italiani abbiamo la forza dei nostri avi, per la nostra storia, per il nostro patrimonio culturale, che ci faranno superare questa grande tragedia assumendoci senza paura tutte le responsabilità che ci spettano.

www.bonomonline.it

 

 

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Avvocato di imprese editoriali e televisive, ricercatore in diritto dell’informazione e dell’informatica. Responsabile dell’Osservatorio sul diritto d’autore de Il Sole 24Ore. Chief Innovation Officer del circuito nazione di avvocati associazione A.L. Assistenza Legale. Promotore culturale, giornalista pubblicista, blogger, attivo sulle tematiche ambientali. [ View all posts ]

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