IL NUOVO ROBOT?
UN PINOCCHIO EVOLUTO

Ci piace riconoscere in Pinocchio un proto-umanoide, volutamente automa e inconsapevolmente androide. Senza tener conto delle dotte discussioni se dovesse trattarsi di un burattino o di una marionetta, ci piace ritrovare nel romanzo di Collodi gli elementi che incarnano il mito buono della creatura artificiale: nasce dall’operosità dell’uomo, riceve dalla saggezza del Grillo parlante il lume dell’intelligenza e dalla Fata Turchina i principi del buon agire. Soprattutto è dotato di quella libertà di scelta che lo fa interagire in cosciente autonomia con le altre creature che popolano il suo mondo. È attanagliato dai dubbi che oscillano tra piacere e realtà e liberamente esercita una volontà propria; commette errori, sconta le conseguenze, se ne pente, cerca di correggersi, ricommette errori e così via. Ogni volta esperimenta e acquisisce conoscenza. Come tutti impara vivendo. È anche un po’ bionico, visto che gli sono stati sostituiti i piedi bruciati e come un robot ha rischiato di essere “ritirato”, smontato e bruciato nel camino come un qualsiasi pezzo di legno di catasta.

Ci piace anche pensare che la storia potesse effettivamente finire, come inizialmente previsto dal suo autore, al Capitolo 15, con Pinocchio che, appeso a un albero dalla pregiata impresa “il Gatto & la Volpe” per fargli aprire la bocca e prendere i soldi che teneva sotto la lingua, <<stirò le gambe e, dato un grande scrollone, rimase lì come intirizzito>>. Invece Collodi fu poi costretto dalla morale dei tempi a introdurre gli obiettivi pedagogici di una trasformazione perbenista, con la scelta del burattino di diventare un vero bambino; non solo, proprio un “ragazzino perbene” così che non ci fossero dubbi sulla superiorità morale dell’essere “umano”.

Questo, in fondo, è il destino che anche noi oggi vorremmo assegnare a una creatura artificiale, perché genera inquietudine la sola possibilità di una sua autonomia, tant’è che, nella finzione, trasformiamo l’irrazionalità dell’angoscia nella razionalità della paura, raffigurandola, se non come nemica, almeno come concorrente. Per noi non dovrebbe avere importanza che quel Pinocchio fosse un birbante, l’importante è che potesse agire in autonomia senza essere percepito dagli altri personaggi come una entità eterodossa: né inferiore per essenza, né portatore di timori subliminali. Alla sua identità di specie era stato ampiamente riconosciuto il diritto paritario di cittadinanza. E’ con la morale del tempo che lo si è programmato con i pacchetti software dell’adeguamento convenzionale e si è voluto forzare il suprematismo della specie umana sulle altre, quali che fossero.

  • Brano tratto dal libro “Compagni di viaggio”, pubblicato da Codice Edizioni, Torino, anno 2022, pagg. 143 – 144.

 

 

 

 

 

Giuseppe Anerdi, ingegnere nucleare, master in scienze cognitive, ha svolto la sua attività di ricerca tra mondo accademico e industria. Alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ha fondato e diretto l’EZ-Lab, centro di ricerche dedicato alle tecnologie robotiche di supporto alla longevità. Ha collaborato alla stesura del libro anche Paolo Dario, ingegnere meccanico e biomedico.

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