LA VITA DI BENJAMIN STRONG
STORIA DI UN BANCHIERE COCCIUTO

di GEMINELLO ALVI

 

 

 

 

 

Invece che nero o cattolico, nascere da padre e madre bianchi e discendenti dei puritani significa negli Stati Uniti venire al mondo già molto meglio. Ma per quanto nascesse nel 1872 in una famiglia del Massachusetts, nella quale numerosi erano stati gli anziani della Chiesa presbiteriana, i banchieri e i membri dell’American Bible Society, Benjamin Strong sperimentò a diciott’anni l’increscioso stato di chi è senza denaro.

Aveva gli occhi ottimisti, era caparbio, atletico, ben pettinato; ma dovette rinunciare all’Università di Princeton e subito cercarsi un lavoro da impiegato. Per certe contorsioni calligrafiche perse tuttavia il primo impiego. Né migliorò la situazione il matrimonio con una donna non ricca. Era, appunto, caparbio; si iscrisse in una scuola di calligrafia. E qui a New York, da dietro un’opaca finestra di Broad Street, mentre lentamente tentava di dominare la malriuscita tondità di una pessima calligrafia, ebbe la visione che mutò la sua vita. Vide un gigante, feroce e vestito con luccicante eleganza, e attorno a lui applausi, la folla e la fiducia di tutti condensarsi a ondate. Era John Pierpont Morgan, il Magnifico, il più potente, quindi ricco, banchiere di Wall Street. Un’aura di fiducia incondizionata si allargava intorno a lui, magica.

Una promessa di denaro

Si accorse che tutti chiedevano solo di rimanere il più possibile accanto a Morgan. Il denaro è un credito; il credito è un’idea, a cui soltanto la fiducia dà esistenza; dunque l’intimità che la folla cercava girando intorno a Morgan era una promessa di denaro. Il giovane Strong si estasiò commosso; poi vide che qualunque suo sgradevole difetto di calligrafia era scomparso: i caratteri si legavano l’uno all’altro perfetti, tondi e dritti. Pochi mesi più tardi fu assunto dai Fondi di Investimento associati alla Banca Morgan. Fece carriera lentamente; solo nel 1898 poté trasferirsi a Englewood, il quartiere dei ricchi; poi giocò a tennis nell’Englewood Field Club, fu eletto tesoriere dell’Englewood Hospital. Ma la tenacia, o quell’eugenetica di cui Ben Strong certo approfittò, ben dispongono, concedono forse di scegliere tra le altre un’anima: non di eleggerla. Dopo la carriera nelle banche dei Morgan, il trasloco e il tennis, al trentacinquenne solerte Strong toccarono altre prove.

La crisi finanziaria del 1907 tecnicamente rimane un enigma: c’erano riserve contabili e liquidità sufficienti per evitarla, ma non furono usate. Un poco decoroso assalto agli sportelli il 21 ottobre 1907 seguì l’annuncio che l’Associazione bancaria si era rifiutata di soccorrere la Fiduciaria Knickerbocker, terzo Fondo di Investimento negli Stati Uniti. Esso era il centro di un piccolo impero finanziario che urtava gli interessi delle aristocrazie venali di Wall Street. Venne spartito tutto, anche le compagnie di navigazione e la Società del ghiaccio di New York, tra i Morgan e i Rockefeller. Strong presiedette il comitato che aveva dovuto decidere la sorte della Knickerbocker.

Educazione sentimentale

Lasciò a fare anticamera i banchieri in difficoltà il tempo bastante perché iniziasse la corsa agli sportelli. Morgan il Magnifico in Virginia intanto presiedeva la Convenzione episcopale degli Stati Uniti. Si felicitò con lui appena ritornato. L’educazione sentimentale di Strong si completò durante le riunioni segrete nelle quali nel 1910 i banchieri di Wall Street scrissero lo statuto della Federal Reserve, ovvero della banca centrale degli Stati Uniti. Ovviamente il poco più che quarantenne Strong venne eletto governatore della Banca della Riserva più importante, quella di New York. E nel 1916, come ancora richiedevano gli interessi dei Morgan, pronto si adoprò per facilitare gli acquisti bellici dei ministeri di Londra in un’America solo formalmente neutrale. In quei mesi la bellissima figlia di un banchiere, e sua seconda moglie, fuggì di casa. La prima moglie si era intanto suicidata, lasciandogli i quattro figli. Nella vasta automobile guidata dall’autista, Benjamin Strong non se ne rammaricava. Quel suo viso d’atletico giovane, iscritto a una scuola di calligrafia, s’era già coperto cogli anni di rughe e il naso intondendosi s’era incanaglito; una tosse continua e bassa lo tormentava. Fu a primavera che i medici gli dissero che era malato di tubercolosi: venne ricoverato in un sanatorio del Colorado. Si riprese, e però nel 1921 peggiorò. Malgrado ciò, Morgan il Giovane, che era succeduto a Morgan il Magnifico, evitò che fosse destituito. Così Benjamin Strong si guadagnò fama di più grande banchiere centrale di questo secolo: con buon senso e competenza, carismatico, negli anni Venti ricostruì un ordine monetario adatto agli interessi degli anglofoni; l’unico possibile. Un anno prima del crollo del 1929 calcolava si dovesse agire per sgonfiare la bolla speculativa di Wall Street; e forse sarebbe persino riuscito a evitare quel disastro. Divorato dalla tubercolosi, invece, calpestò in sanatorio trifogli primaverili e morì il 15 ottobre 1928.

  • Profilo di Benjamin Strong, tratto dal libro “Uomini del Novecento”, pubblicato da Adelphi Editore, Milano, anno 1995 (pagg. 118 – 121).

 

 

 

 

 

Geminello Alvi economista, storico e scrittore, è stato assistente del governatore della Banca d’ItaliaPaolo Baffi, presso la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) di Basilea e ha lavorato come economista per varie banche ed altre istituzioni. È stato tra l’altro membro del Consiglio degli esperti del Ministero dell’Economia e delle Finanze. È stato editorialista per L’Espresso, il Giornale, il Corriere della SeraLa Repubblica. Nel 1999 ha diretto la rivista bimestrale di economia “Surplus” (gruppo Espresso). È stato consigliere di amministrazione dell’Acea, e fa parte del Consiglio scientifico della rivista Limes. È stato anche membro del consiglio scientifico della fondazione ENI, dedicata ad Enrico Mattei. Nel 2007 firma la prefazione al bestseller Falce e carrello dell’imprenditore Bernardo Caprotti. Di particolare interesse, fra l’altro, la sua introduzione alla ristampa dell’opera, di Fabio Cusin, Antistoria d’Italia (Milano, Oscar Mondadori, 2001). Ha scritto numerosi saggi, tra cui spicca Il secolo americano, del 1996.

 

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