MIGLIORARE RICERCA E SVILUPPO PER UNA DIFESA DELL’EUROPA

di Gustavo Piga

 

L’innovazione è necessaria per sostenere la crescita. Innovare non significa produrre oggetti o servizi nuovi. L’innovazione è l’elemento propulsivo per identificare soluzioni in grado di generare valore con processi sempre più efficienti. Questo è il compito della Ricerca e Sviluppo (R&S) che vale tanto per il settore commerciale tanto per il settore militare della difesa. Bisogna quindi comprendere bene dove risiede il valore.

L’Europa, negli ultimi settant’anni ha assistito in una posizione gregaria al confronto Usa-Urss che ha caratterizzato la seconda metà del secolo scorso.

Scenario che ha reso meno evidente, per gran parte del popolo europeo, il valore della difesa. Questa “distrazione” ha avuto ripercussioni negative anche nella ricerca tecnologica. Il valore della ricerca militare risiede nella persistenza con cui progetti molto ambiziosi e altrettanto onerosi sono gestiti per ottenere soluzioni innovative e pertanto efficaci. Da sempre i sistemi d’arma evolvono per cercare di neutralizzare la capacità del nemico. Senza questa continua evoluzione le tecnologie impiegate per la difesa vengono superate da quelle dell’avversario o comunque rese inefficaci.

La ricerca militare deve essere in grado di trovare soluzioni innovative, tipicamente molto complesse e costose e che quindi richiedono ingenti risorse umane e finanziarie. In quest’ottica risulta evidente che è necessario fare massa critica facendo convergere le competenze e le risorse europee verso progetti di ricerca mirati e ben coordinati.

Politica distratta

Perché allora in Europa più del 90% dei fondi destinati alla ricerca militare viene impiegato per progetti nazionali che chiaramente disperdono risorse in tante iniziative simili? Forse perché la politica è stata “distratta” per troppo tempo e non è riuscita a governare un processo tanto importante come questo, lasciando che le logiche assistenziali che si nascondono dietro lo scudo della sovranità nazionale prendessero il sopravvento.

Sicuramente l’aspetto della sovranità nazionale è una questione importante. Dipendere da tecnologie di altri Paesi significa dipendere da questi Paesi anche per l’impiego di tali tecnologie e quindi l’impossibilità di esprimere una politica estera e di sicurezza in modo autonomo e autorevole.

Paradossalmente i Paesi europei continuano a investire in progetti nazionali, spesso operativamente poco rilevanti, sollevando questioni di sovranità all’interno dell’Unione, accettando allo stesso tempo una fortissima dipendenza tecnologica dagli Usa, che fornisce praticamente ovunque sistemi ITAR, ovvero sistemi di difesa soggetti al diretto controllo statunitense.

Perché se il Regno Unito, la Germania, l’Italia, la Spagna sentono il bisogno di ribadire tra loro il vincolo della sovranità nazionale ostacolando progetti europei, non fanno nulla per ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti, che potrebbe in qualunque momento quasi azzerare la loro capacità operativa?

Per due semplici motivi strettamente correlati l’un l’altro. Il primo è relativo al fatto che le questioni di sovranità nazionale tra i Paesi europei sono spesso funzionali a supportare le industrie nazionali secondo una semplice logica assistenziale. Il secondo, che deriva dal primo, è che dissipando inutilmente risorse a causa di tali logiche, l’industria della difesa europea non è stata in grado di sviluppare tecnologie equivalenti a quelle americane; pertanto, per garantire l’operatività delle Forze armate è necessario impiegare componenti statunitensi.

Il settore europeo della difesa è caratterizzato da una persistente frammentazione. L’84% dei contratti di procurement e più del 90% della ricerca sono assegnati a livello nazionale con inutili duplicazioni di funzioni. Questo si traduce in un parco europeo di strumenti militari composto da 154 sistemi d’arma differenti (27 negli Usa) di cui 37 diversi veicoli blindati per la fanteria (9 negli Usa), 12 diversi tanker per il rifornimento in volo (4 negli Usa) e 19 diversi velivoli da combattimento.

Disperdere risorse

La frammentazione degli strumenti militari si ripercuote sui finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo, già di per sé critici e in costante diminuzione (circa il 20% negli ultimi sei anni), a scapito della tecnologia e delle capacità operative.

Disperdere risorse per trovare soluzioni militari di scarso valore aggiunto, quando non necessario, significa danneggiare la capacità militare complessiva contro gli interessi della popolazione e contro gli interessi industriali di lungo periodo. Con queste politiche si indeboliscono tanto i governi quanto le imprese. Perché succede? Per l’incapacità di vedere oltre. L’attuale classe dirigente non riesce a pianificare in modo strategico e promuovere soluzioni che vadano oltre l’orizzonte temporale di qualche anno. Se i nostri politici e dirigenti d’azienda continuano a inseguire obiettivi di breve termine, che devono garantire risultati nell’ambito del proprio mandato, sarà impossibile invertire la tendenza.

Invertire questo trend avrebbe implicazioni significative su tutto il sistema Paese e anche sulla competitività e resilienza del continente europeo. È evidente che scommettere su una capacità di innovazione autonoma nel mondo della difesa e, a valle o a monte, nel settore civile, richiederebbe investimenti significativi non solo in capitale fisico ma prima di tutto e soprattutto in capitale umano. La formazione dei più giovani ne beneficerebbe a mano a mano che industria e università si legassero in un accordo sinergico, supportato da risorse anche pubbliche, per diventare funzionali a un progetto di sviluppo e innovazione.

Una formazione tecnica innovativa permetterebbe alle università di recuperare la loro capacità attrattiva, e ai nostri giovani di conseguire un’istruzione competitiva i cui frutti durerebbero nel tempo, arrestando anche l’inevitabile brain-drain che caratterizza l’attuale fase di declino economico legato a una scarsa produttività dell’intera catena del valore del sapere in Europa.

  • Brano dell’autore tratto dal libro “Difendere l’Europa”, scritto da Gustavo Piga con Lorenzo Pecchi e Andrea Truppo, pubblicato da Einaudi in tiratura limitata per Vitale & Co. , pubblicato da Einaudi in tiratura limitata per Vitale & Co., anno 2017 (pagg. 90 – 93).

 

 

 

 

 

Gustavo Piga, Ph. D. presso la Columbia University di New York, è professore ordinario di Economia Politica presso l’Università di Roma Tor Vergata. E’ stato membro del Consiglio degli Esperti presso il Ministero del Tesoro dal 1993 al 1994 e presidente della Consip SpA dal 2002 al 2005. Dirige il corso di laurea in Global Governance e il Master in Procurement Management presso Tor Vergata. Scrive di politica economica sul sito blog www.gustavopiga.it

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