INNOVARE, MA LA POLITICA ECONOMICA È ASSENTE

Mentre Cina e Stati Uniti puntano sulle innovazioni tecnologiche, l’Europa, e l’Italia, rimangono al passo

L’anno appena iniziato presenta diverse sfide e problemi, che sono in grado di minare il quadro delle relazioni internazionali e di portare il nostro Paese verso la recessione, almeno nel primo semestre.

Il protezionismo americano, le tensioni politiche e sociali in Europa, la Brexit, si accompagnano alle previsioni di un forte rallentamento dell’economia e al calo generalizzato della fiducia di cittadini e imprese. Di fronte a un quadro potenzialmente critico, come si stanno organizzando le imprese italiane? C’è il rischio di un indebolimento degli investimenti in rinnovamenti e adeguamenti produttivi? Intorno a questi problemi mostrano scarsa attenzione le linee programmatiche della politica economica del governo, attenta a soddisfare più le esigenze congiunturali di una parte sociale che un progetto di sviluppo a lungo termine.

È risaputo che il nostro sistema produttivo è caratterizzato dalla presenza di una grande quantità di piccole e medie imprese. Senza un’attenzione al tema dei finanziamenti e degli investimenti – sulle filiere produttive e conoscitive – è difficile adeguare nel corso dei prossimi anni i modelli di produzione alle nuove esigenze.

Alcuni Paesi, come la lontana Cina e i più vicini paesi baltici, stanno convertendo le loro economie da tradizionali a digitali, con effetti che sono ancora incalcolabili, ma che sono molto promettenti. Anche gli Stati Uniti hanno compreso che in futuro non saranno le armi a dominare il mondo, ma le conoscenze e le applicazioni tecnologiche. Dietro lo scontro commerciale tra Stati Uniti e Cina si cela infatti una sfida più profonda e prepotente, dove ognuno dei due sfidanti mira ad assumere il primato nel campo delle soluzioni innovative.

Dominerà il mondo – perché questa è la posta in gioco – chi controllerà le reti, e con queste le interconnessioni, i dati, i mercati, i pagamenti, le produzioni personalizzate, le catene distributive.

L’Europa in questo nuovo quadro – se non insiste su un cambiamento di passo – rischia di indebolirsi e di isolarsi. Anche per questo bisognerebbe avviare da subito un progetto di investimento sul futuro delle imprese, delle conoscenze e dei giovani. Un tempo tutto ciò si chiamava “politica economica”. In sincerità, si comincia a sentirne la mancanza, perché innovare senza una visione strategica sociale di lungo periodo appare francamente impossibile. E tutto ciò non è l’espressione di una nostalgia dei vecchi tempi o della vecchia politica. Ma una necessità dei tempi, attuali e futuri.

 

 

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