PANDEMIA ED ESISTENZA: RIFLESSIONI FRA PASSATO E PRESENTE

Covid-19 ha amplificato un eterno problema filosofico mai risolto: l’angoscia esistenziale

Angoscia. Inquietudine. Frenesia che genera assenza di riflessione. Questi i tratti, più o meno emergenti, che definiscono il nostro comportamento sociale. Siamo governati da questi “attori”, più o meno inconsciamente.

È indubbio che l’accadimento traumatico del Covid-19 abbia di fatto messo ancora più in risalto la nostra reale condizione caduca e impotente: improvvisamente, ci siamo trovati inermi di fronte ad un nemico totalmente invisibile ai nostri occhi, capace quindi di generare smarrimento profondo. Attenzione, l’angoscia è molto più potente in termini di conseguenze traumatiche rispetto alla paura. Quest’ultima, infatti, ha un “oggetto” reale di riferimento, mentre l’angoscia è riferita a qualcosa da cui non posso fuggire, che non vedo ma che in qualche modo devo affrontare.

Il Covid-19 ci ripropone, se così possiamo semplificare, un tema che da sempre ci attanaglia: la gestione dell’angoscia. Sia come comunità sia come individui. Per Kierkegaard, ad esempio, la dimensione dell’angoscia è costitutiva dell’esistenza stessa dell’uomo, essa si fonda in ciò che l’uomo stesso è: una sintesi sempre dinamica di anima e corpo, finito e infinito, sintesi che viene designata con il termine spirito. L’angoscia è infatti propria di uno spirito incarnato, quale è l’uomo, di un essere fornito di una libertà che non è né necessità, né astratto libero arbitrio, ma libertà condizionata dalla situazione, ossia dalla possibilità di ciò che può accadere, di poter agire in un mondo in cui non può sapere cosa accadrà. Essa non è presente nella bestia che, priva di spirito, è guidata dalla necessità dell’istinto, né nell’angelo che, puro spirito, non è condizionato dalle situazioni concrete. «Se l’uomo fosse animale o angelo, non potrebbe angosciarsi. Poiché è una sintesi, egli può angosciarsi”.

Semplificando: la condizione di possibilità che ci possa accadere qualcosa genera insicurezza, ci fa sentire quasi “sotto scacco” costante. Naturalmente, questo stato di fatto non vale solo per la possibilità di contrarre il Covid-19, ma questi mesi del 2020 sicuramente hanno fatto riaffiorare in modo lampante questo senso di vertigine e di abbandono che ci pervade.

Come uscirne? Verrebbe da dire subito che in realtà non è possibile aprire una porta e di colpo abbandonare questa “nave esistenziale” sulla quale tutti siamo erranti in un mare abbastanza oscuro. Di fatto, dopo secoli e secoli di dissertazioni filosofiche e, negli ultimi 130 anni, di pensiero psicoanalitico, ciò che siamo è ridotto a queste considerazioni. Non possiamo imitare Jim Carrey nel famoso film “The Thruman show” quando, nel finale, aprendo la porta di un set cinematografico, scopre di essere stato vittima di un reality-show e di aver vissuto una vita in un mondo fittizio e costruito ad arte, secondo copione.

Dunque, oscilliamo in eterno tra dolore e noia come sostiene Schopenhauer? Eppure, uno spiraglio di luce ci resta sempre a ben vedere. Dobbiamo comprendere che è necessario esortare noi stessi ad avere il coraggio dell’angoscia – esortazione che vale per tutti, anche per quel mondo imprenditoriale in difficoltà certo, ma anche in una fase di trasformazione unica –  poiché derivando essa proprio dalla suddetta  consapevolezza di finitezza, oltre ad essere uno stato emotivo indissolubilmente legato all’esistenza autentica, è anche un sentimento positivo, dal quale non sfuggire, necessario a dare significato autentico alla vita, mentre chi vive nell’esistenza inautentica tende a dimenticare la morte e ad allontanare l’angoscia, in un modo che ricorda da vicino le considerazioni pascaliane sul “divertissement”. In fondo, uno dei significati profondi che possiamo dare alla vita, proprio in questo periodo di pandemia, può essere proprio quello di ribaltare in positivo la paralisi angosciante che ci attanaglia. Sfidiamola, questa angoscia, affrontiamola con cognizione di causa. Senza farci prendere dalla frenesia, con pazienza e, soprattutto, con la parola che può mettere in fuga l’angoscia stessa: la consapevolezza. Scientifica, sociale, culturale. E anche imprenditoriale.

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