2019 L’ANNO DELLA CONSULENZA

Nuove tecnologie, carta vincente per lo sviluppo imprenditoriale. Milano di nuovo faro della crescita e dell’innovazione

L’anno in corso potrebbe essere ricordato come l’anno della consulenza. E Milano potrebbe diventare un punto di riferimento europeo per lo sviluppo dei nuovi modelli di business. Tutto ciò nonostante il rallentamento dell’economia. Perché quanto sta accadendo all’ombra della Madonnina appare ormai molto chiaramente grazie alle rilevazioni dell’Indice Ifiit.

Ma procediamo con ordine. Da qualche mese si registra tra gli imprenditori un diffuso senso di insoddisfazione, dettato dalla compresenza di alcuni fattori. Alcuni sono esterni e dipendono dalla criticità del quadro geopolitico, dalla ciclicità dei mercati. Altri sono interni, come il quadro normativo e burocratico che, in Italia, accanto alla pressione fiscale, sono freni allo sviluppo. Gli economisti e gli studiosi classificano questi elementi come fattori critici esogeni e endogeni.

Tuttavia c’è un altro livello da esplorare ed è quello legato alla struttura organizzativa e al modello di business, che sono poi strettamente connessi alla tecnologia.

Bene, una parte sempre più consistente della base imprenditoriale si è resa conto che il modello produttivo tradizionale, con capannone e direttore di produzione, sta per essere superato – se già non è stato fatto – da un’altra visione, dove a detenere lo scettro delle decisioni è colui che elabora strategicamente i grandi dati che provengono dal mercato. Big Data e Internet of Things, solo per fare gli esempi di due nuove tecnologie, sono infatti in grado di modificare gli assetti conoscitivi e decisionali dell’impresa. Una considerazione di cui molti operatori sono consapevoli, anche se non sempre ben informati e aggiornati: da qui i dubbi, la perplessità e il senso di frustrazione.

Vediamo le tappe del cambiamento attraverso tre spaccati temporali.

Negli anni ’60 l’industriale faceva progettare ai creativi i prodotti, immaginati da lui o dal suo entourage, e poi li realizzava su larga scala attraverso i processi produttivi, al fine di vendere i frutti dell’ingegno sul mercato attraverso una rete commerciale fisica.

Negli anni ’90 i modelli produttivi hanno insistito sull’automazione industriale e sulla gestione più sofisticata della contabilità e dei flussi di cassa. Nel primo caso il potere decisionale aziendale era nelle mani del titolare e del direttore di produzione. Nel secondo caso i direttori finanziari e i direttori dei sistemi Ict – le tecnologie dell’informazione e della comunicazione – hanno preso più potere andando a pareggiare il ruolo e il peso dei direttori di produzione e dei direttori commerciali.

Intelligenza artificiale: una rivoluzione

Ora vediamo la terza stagione, che è poi quella attuale. Con la rivoluzione dell’intelligenza artificiale applicata alle reti, ai mercati, alla produzione, si è creata una nuova sfera di competenze, che sono legate ad algoritmi, a conoscenze matematiche e a modellistiche previsionali. Il mondo del Big Data è in grado di testare e interpretare – istante per istante – ciò che il mercato vuole, nelle sue varie sfaccettature geografiche, culturali, folcloristiche, etniche. La produzione non precede la vendita. Casomai il flusso procede al contrario: dall’intelligenza profonda del mercato nascono idee e progetti che vengono suggeriti – quasi automaticamente – ai creativi dell’azienda, che poi indicano alla produzione come comportarsi.

In questo rinnovato quadro il direttore di stabilimento diventa un’appendice funzionale della scelta strategica che, paradossalmente, non è più interna all’azienda, in quanto sempre più spesso proviene dall’esterno. A ciò si aggiunga che i processi produttivi, sempre più automatizzati e interconnessi, vengono a costituire uno scheletro base, su cui viene edificato un processo dinamico e efficiente al fine di generare prodotti finiti su base personalizzata e non più standardizzata. Le stampanti a tre dimensioni – nella rete dell’impresa nuova, basata su dati e conoscenza – sono collegate all’ufficio progetti, che è a sua volta collegato con le banche dati del network di esperti, collaboratori interni e consulenti esterni, in grado di suggerire, completare, perfezionare.

La fabbrica cambia pelle, il capannone non è più il luogo esclusivo del pensare e dell’agire innovativo. Anche perché, a loro volta, i macchinari possono essere presi a prestito, dislocati in altre sedi: possono essere persino noleggiati e grazie ai sistemi software esperti che li governano, anche le banche, che magari hanno concesso un fido o erogato un prestito, sono in grado di verificare in via remota quanto e come sta lavorando quella particolare filiera produttiva. La produttività non è più un mistero, neanche per i finanziatori e gli investitori, che sono in grado di verificare, momento per momento, il grado di intensità produttiva.

Il Progetto Industria 4.0 ha contribuito a modificare la struttura e la reticolazione del tessuto produttivo italiano: ha facilitato il passaggio ad un modello innovativo dove le nuove tecnologie integrate tra loro hanno dato vita a un salto quantico della struttura organizzativa. Tuttavia gli industriali concordano su una considerazione e cioè che tutto ciò sia potuto accadere perché c’è stata la leva delle agevolazioni fiscali. Sono stati gli incentivi, come l’iper-ammortamento e le deduzioni fiscali, ad aver favorito la diffusione del nuovo modello d’impresa. Che si è in realtà concretizzato solo in parte, perché molte aziende sono ora alla ricerca di nuove figure tecniche – che non esistono ancora – per far funzionare i processi.

L’impresa laboratorio

Le nuove figure non sono operai, non sono ingegneri, non sono tecnici. Sono però un po’ di tutto questo, perché non lavorano e non lavoreranno con tute blu su catene di montaggio oleose per i lubrificanti impiegati, ma saranno in camice bianco a governare stampanti tridimensionali, faranno controlli di qualità, leggeranno e interpreteranno dati sui display, dovranno fermare o rallentare la produzione in presenza di problemi emergenti. Sono i nuovi tecnici dell’impresa-laboratorio, flessibile, versatile, duttile, piena di conoscenza e di discipline, dove i livelli di responsabilità non sono scalari e gerarchici, quanto piuttosto a rete e condivisi.

Se andiamo a guardare, anche il mondo bancario sta attraversando un cambiamento epocale. Dall’istituto di credito di tipo fisico, basato sulla diffusione capillare di sportelli e impiegati, si è passati negli anni ’90 alla creazione di servizi bancari intorno a reti di promotori informatizzati: ora l’attività bancaria si svolge attraverso I-Phone, con cui si fanno operazioni tra le più varie. È il tempo in cui si paga con la carta di credito contactless il servizio di trasporti urbano, la spesa al supermercato o il pieno di carburante dal benzinaio. Ci sono sistemi di pagamento elettronici, la borsa è on-line, come i servizi di consulenza finanziaria per gli investimenti.

È il mondo del fintech, che porta la banca nel cellulare e che rende obsoleti i vecchi processi. Le monete elettroniche e i bitcoin agganciati alla blockchain sono le nuove frontiere della tecnologia, su cui grandi colossi come Ibm, Jp Morgan e Goldman Sachs stanno investendo significative quantità di risorse. Contratti, polizze, atti notarili, accordi commerciali, visure. Tutto passerà in forma digitalizzata attraverso le nuove infrastrutture come la blockchain o come altre formule che la ricerca riuscirà a individuare.

Il mondo dell’economia sta cambiando il proprio Dna. La trasformazione avviene dall’interno, in modo profondo, perché fuori, nel mondo è in corso una rivoluzione/trasformazione per la prevalenza del dato numerico sul concetto di luogo di produzione. La geografia locale viene ribaltata e modificata dalla nuova economia dell’algoritmo, che si fa eterea, trasparente, vaporosa, eppure così pervasiva, diffusa, onnipresente.

Non c’è più il “luogo” fisico, definito, perimetrato, con le sue divisioni in reparti nella fabbrica o nella banca dove il dominio è assegnato alle applicazioni dell’intelligenza digitale. L’economia diventa allora fluida e funzionale e la ricchezza si sposta – e si sposterà ancora – verso coloro che sapranno creare piattaforme, algoritmi di controllo, sistemi esperti per prevedere il futuro e adeguare il presente.

Il cambiamento non può essere governato dall’interno delle strutture, occorre un gioco multidisciplinare a 360 gradi.

Il piccolo imprenditore che voglia innovare e che voglia ingrandirsi può farlo non perché ha dalla sua gli incentivi fiscali, ma perché vede un futuro dove l’integrazione delle funzioni aziendali viene fatta su un piano più alto, conoscitivo, che tenga conto del nuovo contesto mondiale. E che sviluppi un modello tecnologicamente consono alle nuove sfide.

L’e-commerce ha cambiato il marketing e il retail, ha modificato il senso della proprietà. Piattaforme come AirB&B nascono dall’idea di utilizzare ciò che già esiste per un noleggio temporaneo. Il servizio è il centro dell’attività futura. Lo aveva compreso anni fa Trigano con il suo Club Méditerranée, dove la vita nei villaggi turistici si trascorreva senza denaro, ma condividendo tempo e risorse per il tempo prestabilito.

Alcuni produttori di auto si stanno attrezzando per fornire un servizio di mobilità completo, con cui il cliente sia alla guida di una city car elettrica dal lunedì al venerdì per gli spostamenti urbani di lavoro, salvo poi godersi il Suv nel fine settimana per andare in montagna, o una berlina spaziosa di lusso per una gita fuoriporta con la famiglia. Il tutto al costo mensile frutto di una convenzione dove il cliente non ha più problemi di manutenzione, tagliandi, parcheggi e quant’altro.

Le banche e il processo di trasformazione

Come rispondere a tutte queste nuove sfide se aziende, banche, costruttori e imprenditori non hanno le risposte interne? È semplice. C’è la consulenza. E le grandi case di consulting lo hanno capito da tempo e si sono attrezzate. Il tessuto produttivo italiano è caratterizzato da una miriade sterminata di piccole e medie imprese che sono o saranno nella necessità di cambiare struttura organizzativa e mentalità. Non solo, ci sono banche che devono gestire un processo di trasformazione delicatissimo (si pensi a Banca Intesa che sta pianificando la migrazione verso un modello fintech e che ha messo a budget risorse per 2,1 miliardi di euro al fine di soddisfare questo passaggio).

In quest’ottica hanno rinforzato le loro strutture in Italia realtà come McKinsey, Boston Consulting Group, Accenture. Sull’aspetto contabile e finanziario non sono state da meno realtà come Deloitte, Ernst & Young, Price Waterhouse Coopers. Queste realtà hanno fiutato da tempo il nuovo vento di tendenze e di affari. A Milano hanno assunto nuovo personale, cercando ingegneri, matematici, informatici, economisti, contabili, ma anche filosofi della scienza e del linguaggio. Lo stesso ha fatto un gruppo come Ibm, che ora punta anche sulla sanità e sulla ricerca genomica: anche queste nuove frontiere dove la ricerca e l’industria trovano un naturale connubio.

Al di là della presenza delle grandi multinazionali sono nate e si sono sviluppate anche novità nostrane, consulenti esperti di tradizione italiana. Si pensi a realtà come Be, società quotata in borsa e che oggi vanta presenze in quasi tutti gli altri Paesi europei, o a Bip, una società di consulenza fondata da un gruppo di connazionali e che nel giro di pochi anni è arrivata ad assumere duemila persone. Poi ci sono le boutique della consulenza, piccole realtà ma efficacissime, orientate all’alta direzione, come la Osculati & Partners.

Questi nomi sono sempre più robusti e significativi in Italia, insieme a tante altre realtà di consulenza, medie e minori, sensibili al cambiamento e desiderose di dare risposte adeguate. Siamo certi che nascerà anche una filiera di nuovi formatori, che avranno come target sia gli industriali, i bancari, ma anche gli stessi consulenti, perché sarà condivisa o circolare non solo l’economia, ma prima di tutto la conoscenza.

E in questo quadro Milano sta giocando un ruolo rilevantissimo. È la città dove si concentra il maggior numero di società di consulenza e di consulenti. La metropoli meneghina è la capitale di questo rinnovamento e se saprà sfruttare questo momento così estrinsecamente rischioso quanto intrinsecamente magico, diventerà un faro per l’intero Paese. Ora il mini-boom economico è solo per Milano, ma in futuro potrebbe allargarsi a macchia d’olio. L’Italia è un parco tecnologico vivente dove si trovano imprese d’eccellenza di ogni ordine e grado in diversificati settori. Queste realtà già esistenti sono le vere start-up da far crescere. Il mondo della consulenza forse lo ha capito da tempo e silenziosamente e sottilmente agisce con lungimiranza e circospezione. Basta leggere la realtà un po’ più in profondità e, come nel mare, si comprende che la forza non è nell’effimera cresta dell’onda, ma nelle correnti più profonde, dalla perdurante portata.

 

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