Giuseppe Dondoni

COME TI RIVOLUZIONO UN LOCALE
DONDONI, ARCHITETTO INCONSUETO

Per il professionista di Crema la parola d’ordine è: “innovazione”. Secondo lui, non esistono interventi di restyling bensì nuove interpretazioni degli spazi, in funzione delle esigenze attuali

Innovazione. Bel sostantivo. Si fa presto a dire, ma rimane il fatto che Giuseppe Dondoni è uno degli otto architetti specializzati, coinvolto come docente nei corsi di New Entertainment Design di Poli. Design-Politecnico di Milano, dedicato all’ideazione e alla progettazione di locali serali innovativi.

Nato a Milano nel 1961, Giuseppe Dondoni ha frequentato la Facoltà di Architettura al Politecnico di Milano, ha intrapreso l’attività professionale come progettista con il proprio studio SGD a Crema (www.giuseppedondoni.com) e ha al suo attivo la realizzazione di circa un centinaio di locali in tutta Italia. Da oltre quindici anni si occupa di progettazioni di spazi di interni, soprattutto locali di intrattenimento e pubblico spettacolo. Sono nate in Italia nella metà degli anni Ottanta le prime opportunità per proporre idee nuove e rivoluzionarie; l’aspetto creativo e propositivo si delineava all’epoca nei confronti di un scontato “arredare”, magari con caratterizzazioni a tema storico ridondante e superficiale.

Dondoni ha iniziato a proporre spazi nuovi e diversi, i primi discobar di grandi dimensioni, tipi di locali che nel tempo si sono affermati nel settore. Questo percorso ha portato allo scardinamento di mode e comportamenti che, ormai, andavano ad esaurirsi all’interno di locali convenzionali ed antichi. La richiesta cominciava ad aumentare, l’idea di convertire discoteche, ormai non più funzionanti, in locali attuali di new entertainment con all’interno molteplici funzioni. Oggi non esiste più il concetto di “restyling”, ovvero un camuffamento esteriore di un impianto strutturale che non va; va intrapresa ex-novo una condizione più profonda, il locale attuale è un‘interfaccia tra la realtà sociale e la forma compiuta. “Il mio approccio professionale è caratterizzato dalla “cultura del progetto” – sottolinea l’architetto –; ogni locale nasce da un idea di fondo, da un percorso generativo, sempre differente. Il percorso tra progetto e costruito attraversa diversi confini, arte, musica, mode, fantasie, dolori e sorrisi, un grande sforzo “che avviene prima, pianificando e stratificando molte scelte ed esperienze umane ed artistiche”

Riviera lounge club bistrot, Milano

Architetto, leggendo le sue note biografiche sembra quasi che abbia portato una rivoluzione nel concepire determinati locali pubblici. È così?

Sì, diciamo che noi partiamo da lontano, da locali di intrattenimento, discoteche, bar e ristoranti. Cerco sempre di innovare anticipando un po’ i tempi per poter trasferire tutto questo nel locale nuovo. La scenografia ha la sua importanza: luci, suoni, e via dicendo. Si lavora sulla sensorialità. Dobbiamo essere innovativi senza essere ripetitivi, ridondanti, ed è importante cercare e trovare i materiali adatti. Certo, un locale deve essere funzionale, non solo glamour. Negli ultimi periodi portiamo anche delle proposte di nuove location verso imprenditori che intendono investire per avere un locale con caratteristiche originali. In altri termini, cerchiamo di reperire gli spazi e di coniugare gli aspetti imprenditoriali con la nostra visione professionale.

In che modo la pandemia sta condizionando le sue proposte?

Nel momento clou di questa situazione si è fermato tutto. Chi aveva questo tipo di attività, uno su tre o su quattro, ha dovuto chiudere. Poi siamo ripartiti, con prudenza e oculatezza. I locali a Milano sono presenti in modo evidente e diventano modelli da esportare, anche piccole realtà di street food. Stiamo vedendo quasi un nuovo rinascimento e abbiamo avvertito questa svolta positiva, che ha portato anche per noi nuove richieste a partire da gennaio. C’è un nuovo spunto, una nuova volontà per condividere questi spazi, una realtà che ha prodotto sia un entusiasmo che definirei futuribile, sia il desiderio di creare innovazione. I locali hanno cominciato ad aprire all’ultimo piano di palazzi, hotel o realtà immobiliari che utilizzano lo spazio proponendo queste realtà. Milano è trainante anche rispetto ad altre città dinamiche, Bergamo e Brescia, per esempio.

Qual è la città del futuro?

Bisogna coniugare la realizzazione architettonica con la vivibilità dei luoghi, ovvero i servizi che funzionano, i negozi che sono dinamici. Forse la città del futuro non esiste, però trasformare delle zone abbandonate in aree recuperate, ecco con interventi di questo tipo la città avrebbe un volto più gradevole. La ricerca sul green sta ingentilendo anche una città difficile da gestire come Milano, dove i problemi sono molti (inquinamento, macchine, trasporti). Negli ultimi anni si è avviato un percorso virtuoso. Ad esempio, a fianco della stazione centrale troviamo un mercato, con molte bancherelle: ecco, il volto di quella zona è cambiato in positivo. Sì, Milano è proiettata nel futuro.  O forse ci siamo già.

 

www.giuseppedondoni.com

 

 

 

 

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