COMPETENZE E ISTITUZIONI:
LE TECNOLOGIE APPICCICOSE

Charles Kenny *

Così come lo definiscono gli economisti, il concetto di “tecnologia” è assai ampio. Esso comprende qualunque tipo di innovazione. Comprende certamente le tecnologie tradizionali o le invenzioni, come il treno a vapore di Watt o il mouse del computer di Engelbart, ma comprende anche qualunque cosa possa innalzare la produttività del lavoro o del capitale. Pensiamo alla fabbrica di spilli di Adam Smith, descritta nel libro La ricchezza delle nazioni. In quel luogo, i macchinari specializzati (tecnologia “incorporata” nel capitale fisico) e le competenze necessarie per usarli (capitale umano) erano entrambi vitali, ma ciò che secondo Smith rendeva possibile la specializzazione era la divisione del lavoro.

Un uomo svolge il filo metallico, un altro lo drizza, un terzo lo taglia, un quarto lo appuntisce, un quinto lo arrota nella parte destinata alla capocchia” (Adam Smith, La ricchezza delle nazioni, pag. 80, Edizione Utet, Torino, 1975).

Con un tale sistema, Smith calcolò che ogni piccola manifattura potesse produrre fino a 480 spilli a persona, mentre un operaio non specializzato da solo avrebbe potuto fabbricarne soltanto uno al giorno. La tecnologia vitale qui è una “tecnologia di processo”: la linea di montaggio. Altre tecnologie di questo tipo – cioè istituzioni – potrebbero includere la contabilità a partita doppia, i sistemi di gestione just-in-time, la presenza di regole trasparenti o anche la democrazia.

Paul Romer, uno dei padri delle teorie “endogene” che considerano la presenza di barriere all’adozione di nuove tecnologie come la ragione di una crescita lenta, suggerisce che le tecnologie di processo siano la chiave di tutta la storia. A suo parere, sistemi come quello che gestisce i dati delle scorte della grande distribuzione americana Walmart hanno avuto un impatto sulla crescita economica superiore a quello esercitato da invenzioni di prodotti come il transistor. Oppure prendiamo l’esempio della Toyota, che fino a poco tempo fa (quando alcuni piloti iniziarono a trovare la sua tecnologia di accelerazione un po’ troppo appiccicosa) era l’industria automobilistica caratterizzata dai migliori profitti. La Toyota non produce le macchine più innovative o più entusiasmanti (c’è effettivamente una bella differenza tra la Tercel e una Mustang), ma può contare sul Toyota Production System, che ha riorganizzato i piani della fabbrica e, tra le altre cose, ha introdotto la consegna just-in-time dei componenti.

Sono molti i dati a sostegno della tesi di Romer secondo cui le tecnologie di processo sono più importanti per l’aumento del reddito pro-capite rispetto alle invenzioni tradizionali. Non ultimo il fatto che non si riscontra alcuna relazione tra le spese di ricerca e sviluppo per le invenzioni tradizionali e i tassi di crescita di un paese. E i dati forniti dagli studi che analizzano l’impatto della guerra sui risultati di crescita di un paese nel lungo periodo sono un segno incontrovertibile dell’importanza, per lo sviluppo a lungo termine, di cose che non possano saltare in aria. Le tecnologie di processo, infatti, non possono essere distrutte, auto e computer invece sì.

Automobili, televisori e computer

Più importante ancora è il fatto che le invenzioni tecnologiche tradizionali non sono appiccicose, ma viaggiano attraverso i confini. E così, i transistor (seguiti dai microchip) si sono diffusi in ogni paese del mondo, e molto rapidamente. Consideriamo in particolare i transistor dei televisori e i microchip dei computer. Più di metà delle famiglie dei paesi in via di sviluppo possiede un televisore e si contano ben 219 milioni di computer nei paesi a basso e medio reddito. Per ogni dollaro del loro PIL, quindi, i paesi in via di sviluppo hanno molti più televisori e computer dei paesi ricchi. Non diversamente, si rimane intrappolati nel traffico in qualunque, o quasi qualunque, parte del mondo ci si trovi e alcuni degli ingorghi peggiori si creano nei paesi poveri (Kabul, per esempio, ha un traffico spaventoso). Automobili, televisori e computer non sembrano dunque essere il genere di tecnologia appiccicosa alla base della performance del reddito pro-capite.

Per contro, non esistono punti vendita Walmart in Malawi. E nonostante i numerosi tentativi di copiare il modello del sistema di produzione della Toyota, molti sono finiti male. Televisori e computer – insieme ad automobili, autobus e fonderie – funzionano più o meno allo stesso modo in tutto il mondo, ma non così i sistemi di controllo delle scorte o di gestione della produzione. Si tratta di tecnologie estremamente legate al contesto: se ci vogliono le stesse competenze per riparare un televisore a New York o a Nairobi, diverse sono quelle necessarie a un buon gestore di magazzino nei due luoghi. Per di più, ogni ulteriore miglioramento delle tecnologie di processo deve tenere conto del contesto istituzionale circostante. L’approccio del sistema di produzione della Toyota, per rimanere sullo stesso esempio, è innovativo precisamente perché è costruito intorno a un susseguirsi costante ma incrementale di piccoli miglioramenti al sistema in atto. Ciò indica l’esistenza di un percorso di miglioramento nel lungo periodo, e specifico al contesto, di tecnologie di processo che avrebbero proprio le caratteristiche appiccicose che stiamo cercando.

Istituzioni come le tecniche di gestione delle scorte, le strutture di regolamentazione o il tipo di regime potrebbero essere allora cruciali per una storia di crescita. Ma il tipo di innovazione istituzionale in grado di spingere la crescita di un particolare paese in un particolare momento storico potrebbe essere altamente dipendente dal contesto e, data la natura interdipendente delle tecnologie di processo può diventare difficile prevedere l’impatto esercitato dalla modificazione di una particolare tecnologia di processo in un particolare scenario. Questa fu più o meno l’intuizione che fece vincere il premio Nobel a Douglas North nel 1993.

*

  • Il passo è stato ricavato dal libro scritto dall’autore, dal titolo Va già meglio, tradotto e pubblicato da Bollati Boringhieri, Torino, 2012 (pagg. 53 – 56).

 

 

 

 

 

Charles Kenny, economista, formato a Londra e a Washington, specializzato in economia internazionale e dello sviluppo, è membro del Center for Global Development. Si occupa di politica dello sviluppo, di lotta alla corruzione e del ruolo della tecnologia nella qualità della vita. Editorialista di “Foreign Policy” è anche membro della New America Foundation. Ha lavorato presso la Banca Mondiale come consulente sul Medio Oriente e il Nord Africa.

Condividi
Share

Commenti

be the first to comment on this article

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Vai a TOP