Ghana: dai rifiuti all’oro nero Ma a che prezzo

Una discarica enorme a cielo aperto “grazie” all’Occidente. Da gas e petrolio una nuova prospettiva di sviluppo. Lo sfruttamento anche dei minori a livelli inqualificabili

A Agbogbloshie, nella periferia di Accra, in Ghana, una discarica illegale di rifiuti si staglia sul mare ormai sudicio e carico di oggetti: telefonini, televisori, stampanti, fax, schermi e oggetti ingombranti. Una discarica a cielo aperto di un’ampiezza pari a dodici campi di calcio. La discarica, alimentata dall’Occidente, porta il soprannome di Sodoma e Gomorra, perché, si dice, che anche il Padre Eterno lì abbia rassegnato le dimissioni.

Ne sa qualcosa Mike Anane, un giornalista attivista del luogo, che racconta: “Ogni mese arrivano, da diverse parti del mondo, più di 500 container di spazzatura elettronica in Ghana. Provengono principalmente da Paesi industrializzati come Stati Uniti, Olanda, Germania, Danimarca, Svezia, Francia, Regno Unito e Italia. È facile risalire a questi Paesi, restano ancora le loro etichette con gli indirizzi di proprietà”.

Secondo i dati dell’Unep, il programma ambientale delle Nazioni Unite, il 90% dei rifiuti elettronici del mondo viene smaltito illegalmente alimentando un giro d’affari di 19 miliardi di dollari che finiscono in mano alle ecomafie le quali si arricchiscono trasportando i rifiuti in Ghana, Nigeria, Cina, Pakistan, India e Vietnam. A oggi la quantità di scarti ha raggiunto 50 milioni di tonnellate, di questi 42 milioni sono cellulari e computer.

Mike Anane, scavando un po’ a fondo, aveva scoperto che persino l’EPA, l’agenzia di protezione ambientale degli Stati Uniti, e così anche l’analoga agenzia dell’Olanda avevano smaltito in Ghana i rifiuti elettronici che provenivano dai loro uffici. “Ho raccolto filmati dei rifiuti provenienti dagli Stati Uniti, alcuni di essi hanno ancora le etichette di proprietà delle loro Istituzioni. Anche Società come Apple, Toshiba, HP, Panasonic hanno spedito rifiuti elettronici qui in Ghana”.

Un enorme giro di denaro

A chi gli chiede come sono gestiti questi rifiuti e se non ha paura a raccogliere queste informazioni risponde: “Sono ragazzi, bambini anche di cinque anni, a smantellare computer, televisori, telefonini, e poi bruciano tutto all’aria aperta. Spesso hanno problemi respiratori e emottisi, alcuni si ammalano di cancro. Per il resto, è vero, ho ricevuto parecchie minacce, telefonate anonime, ma non mi spaventano, anche se so che dietro a tutto questo ci sono grosse organizzazioni criminali. C’è un enorme giro di denaro”.

In barba alle precauzioni più elementari, questi bambini, rovistano, smontano, svuotano e bruciano quello che resta di quella immensità di oggetti elettronici. Respirano, a loro insaputa, gas velenosi cercando di ricavare quel po’ di materiale servibile: palladio, rame, argento, che essi contengono. Il resto viene bruciato sprigionando piombo, mercurio, arsenico, con effetti devastanti per l’ambiente, per il suolo e l’uomo. Gli incendi divampano all’improvviso e si effondono fumi velenosi che il vento trasporta ovunque. Anche l’acqua del fiume che scorre lì accanto è nera e densa come l’olio, e trascina fino al mare carcasse vuote di ogni tipo di rifiuto.

E della Convenzione di Basilea del 1989, che prevede lo smaltimento di questo tipo di rifiuti nei paesi consumatori e produttori secondo rigide normative ambientali, che ne è stato?
E soprattutto, come passano i controlli doganali questi container? A volte come donazioni attraverso finte Onlus per dare una copertura umanitaria. Oppure, in altri casi, simulando un incidente in mare, le cosiddette navi a perdere che imbottite di rifiuti vengono affondate in acque profonde. In questo caso l’equipaggio abbandona la nave utilizzando imbarcazioni amiche fornite dalla criminalità locale e guadagnano sia per aver sistemato i rifiuti sia sui premi assicurativi previsti per le navi incidentate.

Possibile eliminazione della povertà

Le navi americane ed europee approdano al porto di Tema, il più grande dell’Africa occidentale, a 25 km a est della capitale, Accra. Tutto questo avviene nel paese più legato alle Nazioni Unite e a Washington. Il Ghana dipende dall’Assistenza Internazionale nonostante il giacimento di petrolio scoperto nel giugno del 2007 al largo della Costa atlantica e quantificato dai 7mila barili al giorno del 2007 ai 99mila nel 2013, con riserve complessive stimate sino a 1,8 miliardi di barili. E come gas associato ne potrebbe produrre fino a 150 milioni di metri cubi al giorno. Si spera che l’accordo di partnership con la Norvegia, riguardante il gas naturale, per lo sviluppo delle risorse energetiche nazionali, abbia come obiettivo l’eliminazione totale della povertà. È contradditorio trattare un paese così ricco come fosse l’ultimo dei poveri.
Esiste però una Cooperation for Sustainable Develepment Ghana-NRW. Questo progetto congiunto del Ghana e del Nord Reno-Westfalia, avviato da GIZ, mostra come sia possibile una cooperazione di successo per lo sviluppo sostenibile. Storicamente la cooperazione tra Ghana e NRW ha coperto una gamma di questioni: dal settore delle imprese ai settori dell’energia, dei prodotti farmaceutici e sanitari, dell’agricoltura, dell’istruzione, della cultura, fino alle questioni relative alle donne in politica. Nel 2010, entrambi i paesi partner, hanno messo l’energia e l’ambiente ancor di più in prima linea. I progetti di GIZ che si svolgono tra Ghana e NRW sono un pilastro importante della cooperazione tra i due paesi. Progetti promossi dal Governo dello Stato del Nord Reno-Westfalia dal 2012 nel corso delle loro attività One-World.
A livello locale è nata inoltre una Società, la Gizmogul composta da tre fratelli di Boston, Cory, Barry & Stephen Schneider, che offrono la possibilità di vendere, acquistare o regalare i nostri vecchi prodotti e con il ricavato costruiscono scuole nei paesi in via di sviluppo. A oggi più di 600 in tutto il mondo. Una Società di taglio filantropico che instancabilmente lavora perché il nostro dispositivo vecchio finisca in buone mani e possa essere riutilizzato. Lo stesso concetto si estende a Officina S3, un’associazione che rigenera vecchi pc a scopi benefici. Lo chiamano il riciclo responsabile.

Oppure si può piantare un albero, in qualsiasi posto del mondo, con un clic sul mouse del nostro computer. Lo sa bene Ecosia

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Commenti

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    Tiziana Iaccarino 24 Settembre 2017 12:52

    Salve, concordo su quanto scritto. Ho trovato l’articolo davvero molto interessante e sono certa che il consumismo dei paesi industrializzati sta distruggendo quelli più poveri. La storia rimane la stessa, i ricchi che continuano ad arricchirsi, riuscendo ad annientare i poveri.
    Trovo deplorevole l’idea che i Paesi più industrializzati non siano in grado di smaltire i loro rifiuti “da progresso”, un progresso che si sta rivelando meno intelligente di quel che pensavamo, ma va a beneficio di chi usa, in tutti i modi, di ricavarci denaro, anche quando questo “progresso” diventa spazzatura.
    Credo sia un argomento molto vasto che vada approfondito e raccontato in tutte le sue sfaccettature e sostengo sempre il risparmio ecologico ed economico. Perché viviamo in una società abituata a cambiare cellulare a ogni stagione? Gente che si compra il televisore al plasma sempre più grande, perché magari quello acquistato l’anno precedente risulta improvvisamente troppo piccolo, chi sfrutta questo tipo di economia, assecondandone la ricchezza, acquistando, consumando, gettando via, senza alcuna accortezza è responsabile di un circuito che si sviluppa proprio sulla superficialità. Se vivessimo in una società meno consumista, ma più attenta alla conservazione dei beni a lunga scadenza, ma soprattutto dei beni materiali che possono diventare affettivi, nel tempo, sarebbe già un piccolo passo verso quel tipo di “risparmio della spazzatura” di cui avremmo tutti bisogno.
    Suona strano: risparmiare la monnezza, eppure, se ne producessimo meno, ne gioveremmo in primis noi.
    Argomento difficile da trattare e ancor più complesso da smaltire, ma meritevole di tutta la nostra attenzione e considerazione.

    Tiziana Iaccarino.

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