IMPRENDITORIALITÀ E MIT
COSÌ NASCE IL SUCCESSO

Perché il MIT (Massachusetts Institute of Technology) è in grado di raggiungere un così grande successo nella formazione degli imprenditori? La prima risposta che sento spesso è che gli studenti del MIT sono estremamente intelligenti. Ma gli studenti del MIT non sono più intelligenti di quelli di altri eccellenti istituti d’istruzione superiore a livello mondiale (Caltech, Harvard e simili); eppure, nessuno di questi istituti, ad eccezione di Stanford, è in grado di formare imprenditori come il MIT. Pertanto, il successo del MIT deve essere attribuito ad altri fattori.

La seconda risposta comune è che il successo del MIT dipende dal fatto che gli studenti hanno accesso a tecnologie all’avanguardia nei laboratori e, per questo, risulta loro più semplice fondare aziende. Ma anche questa ipotesi è misurabile. Grazie all’eccellente Technology Licensing Office del MIT, abbiamo i numeri che provano quante aziende vengono fondate ogni anno grazie alle tecnologie disponibili nei laboratori, tecnologie che, a loro volta, devono essere concesse in licenza dallo stesso ufficio. I dati dimostrano che vengono costituite da 20 a 30 nuove aziende l’anno, numeri importanti se paragonati a quelli di altre università. Tuttavia, questo dato appare modesto se si considera che, in totale, gli ex studenti del MIT fondano 900 nuove aziende ogni anno.

Se da un lato le aziende costituite con la tecnologia data in licenza dal MIT hanno una rilevante importanza strategica e possono avere un grande impatto (ad esempio Akamai), queste sono solo una piccola parte del motivo per cui il MIT ha così tanto successo nel campo dell’imprenditorialità. Più del 90 percento delle aziende fondate da ex studenti del MIT, infatti, sono costituite senza l’utilizzo di tecnologia dei laboratori dello stesso istituto.

Il vero motivo per il quale il MIT è così affermato nella creazione di nuove imprese è una combinazione di spirito e abilità. Al MIT si promuove una cultura che incoraggia le persone a fondare nuove imprese sempre e ovunque, come oggi accade nella Silicon Valley, in Israele, nella Tech City di Londra e a Berlino. I modelli da seguire sono molteplici, non sono icone astratte bensì persone reali non molto diverse da noi. Un’atmosfera di opportunità e collaborazione pervade il MIT al punto che gli studenti, in poco tempo, acquisiscono la mentalità del “sì, anch’io posso fondare un’azienda”. Sono contagiati dal “virus imprenditoriale” e iniziano a credere nei benefici del lancio di una nuova impresa. Gli studenti sono galvanizzati dall’atmosfera di ambizione e collaborazione. Il lavoro di sviluppo delle abilità imprenditoriali si coltiva durante le lezioni, nelle competizioni, negli eventi extracurriculari e nei programmi di networking. Inoltre, gli insegnamenti disponibili sia in aula, sia in altre attività, sono estremamente preziosi, così che, in tale contesto, gli studenti sono portati ad affrontare le materie con un maggiore livello di interesse e impegno. Tutto ciò è ulteriormente rafforzato dal fatto che ogni alunno è pienamente coinvolto durante le lezioni. Una lezione svolta in un ambiente così coinvolgente è molto più efficace sia per gli studenti che per i docenti.

Un altro fattore che contribuisce a creare questo circolo virtuoso è la mentalità di gruppo. Mentre gli studenti apprendono e lavorano sull’imprenditorialità, collaborano tra loro. Discutono del loro lavoro durante i momenti di socializzazione e iniziano naturalmente a incoraggiarsi l’un l’altro, stimolando la competitività. Non solo apprendono l’uno dall’altro, ma l’insegnamento diventa parte della loro identità individuale e di gruppo. Questi sono i fattori che al MIT creano un ambiente nel quale è possibile insegnare con successo l’imprenditorialità. È un circolo virtuoso.

Distinguere due diverse tipologie di imprenditorialità

Imprenditorialità è creare un nuovo business dove ancora non esiste. Questa definizione mi era sempre sembrata chiara fino a quando non mi ritrovai a parlare di come promuovere l’imprenditorialità a livello internazionale con la Professoressa Fiona Murray e il Professor Scott Stern. Ci rendemmo conto che quando pronunciavamo la parola “imprenditorialità” in pubblico, questa poteva assumere almeno due significati molto diversi: una discrepanza che aveva importanti conseguenze poiché ognuna delle due tipologie d’imprenditorialità ha obiettivi e bisogni profondamente differenti.

L’imprenditorialità delle Piccole e Medie Imprese tradizionali (PMI)  

La prima tipologia d’imprenditorialità è quella delle piccole e medie imprese (PMI) tradizionali. Si tratta d’imprese costituite da una persona per rivolgersi a un mercato locale e crescono fino a diventare aziende di piccole o medie dimensioni. Spesso sono gestite come imprese familiari nelle quali è fondamentale avere uno stretto controllo del proprio business. Per i fondatori, le “ricompense” di tali attività sono, in primo luogo, l’indipendenza e il flusso di denaro in grado di generare. Generalmente, queste organizzazioni non hanno bisogno di consistenti investimenti; pertanto, il denaro investito genera rapidamente un aumento dei ricavi e dell’occupazione. Queste aziende possono essere diffuse sul territorio e l’occupazione generata è prevalentemente “non sostituibile”, poiché non è possibile delocalizzarla per ridurne i costi. Spesso tali imprese offrono servizi o sono rivenditori di prodotti per altre aziende. Il loro fattore chiave di differenziazione è il focus sui mercati locali.

L’imprenditorialità delle Imprese Basate sull’Innovazione (IBI)  

L’imprenditorialità delle imprese basate sull’innovazione (IBI) è, tra le due, la più rischiosa e ambiziosa. Gli imprenditori delle IBI aspirano a servire non solo mercati locali. Il loro scopo è vendere a livello globale. Generalmente, questi imprenditori lavorano in squadra fondando il loro business su tecnologie, processi, modelli di business o altre innovazioni che possano garantire un significativo vantaggio competitivo sulle aziende esistenti. Il loro scopo primario non è il controllo dell’impresa, ma la creazione di ricchezza; spesso sono costretti a vendere delle quote aziendali per supportare i loro ambiziosi piani di crescita.

Nonostante iniziare questo tipo di attività richieda più tempo, gli imprenditori delle IBI tendono a registrare una crescita esponenziale quando i loro prodotti diventano popolari tra i consumatori. La crescita è il loro obiettivo e sono disposti a rischiare di perdere il controllo della loro azienda e a condividerla con altri soci. Se da un lato le PMI tradizionali tendono a crescere e a restare relativamente piccole (ma non sempre), le IBI sono più interessate a un approccio “tutto o niente”. Per raggiungere i loro scopi, devono crescere rapidamente al fine di servire i mercati globali.

L’imprenditorialità delle IBI crea aziende con un’occupazione “sostituibile”, che può essere persino affidata in outsourcing per renderle più competitive. Queste imprese generalmente non sono diffuse sul territorio ma, al contrario, sono concentrate attorno ad aggregati di aziende innovative. Inoltre, qualsiasi investimento o iniezione di liquidità richiede molto più tempo per raggiungere risultati in termini di ricavi aggiuntivi e occupazione.

Nel breve periodo, il modello delle PMI tradizionali permette di conseguire risultati velocemente, ma, con pazienza, le IBI hanno la capacità di produrre profondi effetti come hanno dimostrato aziende quali Apple, Google, Hewlett-Packard e altre imprese quotate in borsa. Un’economia sana è costituita da entrambe le tipologie d’imprenditorialità ed entrambe hanno i loro punti di forza e quelli di debolezza. Nessuna delle due è migliore dell’altra. Tuttavia, sono così differenti da richiedere, per avere successo, un approccio diverso e competenze diverse.

Cos’è l’innovazione? La parola innovazione è diventata sempre più un cliché, tuttavia, mi sono ispirato e ho adattato una semplice definizione coniata dal professor Ed Roberts del MIT:

Innovazione = Invenzione, Commercializzazione 

Ho modificato la definizione di Roberts, basata sulla somma, poiché l’innovazione non è la somma d’invenzione e commercializzazione, ma il loro prodotto. Se c’è commercializzazione ma non invenzione (invenzione = 0), o invenzione ma non commercializzazione (commercializzazione = 0), non c’è innovazione. L’invenzione (un’idea, una tecnologia o una proprietà intellettuale) è importante, ma l’imprenditore non ha bisogno di creare l’invenzione. Di fatto, le invenzioni che portano alla nascita d’imprese basate sull’innovazione, spesso hanno un’origine diversa. È il caso di Steve Jobs il quale individuò delle invenzioni altrui (il mouse per il computer creato da Xerox PARC è l’esempio più famoso) e le commercializzò in modo efficace con Apple.

Allo stesso modo, Google ha ottenuto la maggior parte dei profitti con AdWords, una forma di annuncio pubblicitario basata su parole chiave e testo, collegata ai risultati di ricerca online. Fu un’altra azienda, Overture, a inventare questa forma pubblicitaria, ma Google l’ha commercializzata con successo. Questi esempi dimostrano come la capacità di commercializzare un’invenzione sia necessaria per una vera innovazione. Pertanto, l’imprenditore deve essere, prima di tutto, un ottimo venditore.

Deliberatamente non utilizzo l’espressione “imprenditorialità basata sulla tecnologia” perché l’innovazione non è limitata alla tecnologia. L’innovazione può essere innovazione tecnologica, ma anche innovazione di processo, di modelli di business, di posizionamento e tanto altro.

Alcune delle più entusiasmanti innovazioni dei nostri tempi quali Google, iTunes, Salesforce.com, Netflix, Zipcar e molte altre, nascono come innovazioni di modelli di business. Certamente è stata la tecnologia a renderle possibili: Zipcar non riuscirebbe a gestire il suo vasto network di auto senza la tecnologia keyless che ne consente l’accesso ai suoi utenti. Ma, in realtà, l’innovazione di Zipcar consiste nel considerare il noleggio d’auto come un’alternativa al possesso, piuttosto che come forma temporanea di trasporto per i proprietari di auto e uomini in viaggio di lavoro verso mete remote. Zipcar non ha necessità di comprendere il complesso funzionamento della sua tecnologia per avere successo, piuttosto deve capire cosa significhi per i suoi clienti “consumare collaborativamente”.

Poiché la tecnologia sta diventando sempre più un bene indifferenziato, assisteremo a una crescita d’innovazione di modelli di business che faranno leva sulla tecnologia. Ci saranno ancora molte opportunità per l’innovazione basata sulla tecnologia in settori quali l’immagazzinamento dell’energia, l’elettronica di potenza, le comunicazioni wireless e molti altri, ma questa non è l’unica definizione d’innovazione.

*BILL AULET è direttore generale del Martin Trust Center for MIT Entrepreneurship presso il MIT e docente alla Sloan School of Management del MIT. Insegna in diversi corsi, Nuove Imprese, Imprese del Settore Energetico e Applicazione di Tecniche di Imprenditorialità Avanzate, oltre a gestire il Martin Trust Center, un centro per il supporto dell’insegnamento dell’imprenditorialità in aula e nel mondo lavorativo, nelle cinque scuole del MIT.  Dopo aver lavorato in IBM per più di 11 anni, è stato nominato MIT Sloan Fellow, partecipando a un master annuale intensivo in management. Dopo il master è diventato un imprenditore seriale, gestendo due spin-out del MIT con la carica di presidente/amministratore delegato (Cambridge Decision Dynamics e SensaAble Technologies). I suoi scritti sull’imprenditorialità sono stati pubblicati dal Boston Globe, dall’Huffington Post, da Xconomy, dalla Kauffman Foundation, dal MIT Sload Experts e dalla MIT Entrepreneurship Review. Bill è laureato in ingegneria all’università di Harvard e ha conseguito un master alla MIT Sloan School of Management.

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