LA LINGUA ITALIANA, TRASCURATA E INVOLGARITA, EPPURE COSÌ RICCA

L’80 per cento delle parole del lessico familiare, ovvero i termini che usiamo tutti i giorni, risale al Trecento. Ma spesso, dalla scuola ai politici, si assiste a uno scempio espressivo dell’italiano. Ne parla il professor Paolo D’Achille

In una scuola elementare si può sentire una frase del tipo: “Esci il libro”; in giro per qualche città si può intercettare un “scendi i rifiuti” o anche “scendi il cane”…

Tornando a scuola, si è percepito un rarissimo “conserviamo”, che sta per “mettete a posto, preparatevi a uscire”, esempio sublime di sintesi; peccato che il verbo utilizzato abbia ben altri significati!

Stiamo parlando della lingua italiana, malridotta, brutalizzata anche nelle aule parlamentari, con espressioni volgari (molto diffuso il “vaffa”), frasi fatte dove l’eleganza espressiva è altrove (“che schifo”, “basta!”), l’arroganza è palese (“signor presidente, lei non ci rappresenta”),  il tono alto non cela l’errore: “il falso in bilancio è di nuovo reato penale”. Se è un reato è penalmente perseguibile, diversamente non c’è reato.

Insomma, in questo nostro Paese c’è un florilegio di solecismi, ovvero di autentiche bestialità espressive e linguistiche che si diffondono con una certa facilità. “L’Italia è arrivata tardi alla unificazione linguistica sul piano del parlato – commenta il professor Paolo D’Achille, docente di storia della lingua italiana all’Università Roma Tre, responsabile della Consulenza linguistica all’Accademia della Crusca – e dai dialetti sono state trasferite molte espressioni gergali tali e quali nel linguaggio corrente. “Esci il libro”, che sta per “prendi il libro, aprilo a pagina…” appartiene proprio a una modalità espressiva semidialettale. Certo, in italiano è inaccettabile, soprattutto in un’aula scolastica”.

Già, la scuola, cioè la sede deputata a diffondere il sapere e, quindi, la corretta conoscenza dell’italianoe. E invece… “Invece la scuola viene vista e vissuta, oggi, sempre meno come un ascensore sociale – osserva il docente – per approfondire e acculturarsi. I giovani sono attratti piuttosto dai modelli professionali proposti da molti programmi televisivi, dove troviamo abbondanza di cuochi (stellati, non stellati, alle prime armi), di calciatori, di cantanti, di veline, ecc., che sembrano indicare la via breve, veloce verso successo e denaro, salvo patire spesso cocenti delusioni. Inoltre ci sono richiami molto forti: i videogiochi, i social, la rete. Da notare che, soprattutto con riferimento a social e pc, la produzione linguistica dei giovani è aumentata rispetto al passato, ma con un ricorso a semplificazioni (xche, tvb, io+di te) e ad anglicismi che, usati al di fuori di quell’ambito comunicativo, mortificano la nostra lingua”.

“Tutto ciò porta a una deriva linguistica – afferma il professor D’Achille –  mentre ci vorrebbe uno scatto d’orgoglio anche in questo campo. Mi spiego. L’italiano è una lingua molto ricca, conserva un patrimonio lessicale legato al passato – secondo alcuni calcoli, quasi l’80% delle parole del lessico fondamentale, quelle che usiamo tutti i giorni, sono documentate già nel Trecento (e molte anche prima), grazie soprattutto a Dante –, ha una capacità espressiva e argomentativa che poche lingue vantano. L’italiano è studiato all’estero proprio per l’apporto che storicamente ha dato alla cultura universale”.

Nell’Unione europea vi sono oltre venti idiomi, ovvero altrettante espressioni culturali. “Diciamo subito – conclude lo studioso – che l’Unione europea non è nata con lo scopo di arrivare a una omologazione di tipo linguistico, anzi il confronto e il dialogo fra le varie lingue rappresenta per tutte  un arricchimento. C’è comunque da segnalare il fatto che la nostra classe politica non ha saputo valorizzare in ambito europeo la lingua italiana. Ma la nostra lingua è più forte del disinteresse di alcuni politici e della scarsa attenzione che a volte le riserva persino la scuola. Si prenderà certo delle rivincite, grazie alla sua ricchezza
intrinseca”.

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