DRAGHI, SVOLTA DA BANCHE E DAL COINVOLGIMENTO DEI GIOVANI
Per superare la crisi del ’29 furono adottati i criteri suggeriti da Mainard Keynes, economista britannico, padre della macroeconomia e considerato il più influente tra gli economisti del secolo scorso: grandi investimenti pubblici per ammodernare il paese, allargare l’occupazione e tornare a far crescere la domanda aggregata. Non fu una scelta facile e condivisa, ma impresse un energico slancio all’economia americana. In tempi di crisi non è l’austerità la ricetta da seguire. Ma neanche gli interventi a pioggia, piuttosto la visione di un futuro da perseguire, per l’ammodernamento e il salto di qualità della nazione.
In periodi di espansione, quando gli economisti e gli operatori temono la ripresa dell’inflazione – e negli Stati Uniti il livello dei prezzi crebbe di oltre il 14% nel 1980 – la ricetta adottata ha fatto leva sulla politica monetaria, con un maggiore controllo dell’erogazione e del flusso di credito.
C’è un cambio di importanza dei ruoli tra la prima situazione e la seconda? In un certo senso sì. Perché nel primo caso la figura di rilievo è stata quella del presidente Roosevelt, una carica politica e istituzionale. Nel secondo esempio ha assunto una statura più significativa Paul Volcker, il governatore della Federal Reserve. È da quel momento che la Fed ha manifestato un potere crescente, confortato dalla visione liberista della scuola di Chicago il cui massimo esponente, Milton Friedman, aveva così sinteticamente espresso la sua visione: “se dai soldi alla gente quando non lavora e la tassi quando lavora, non lamentarti se poi generi disoccupazione”.
In estrema sintesi, la politica economica americana ha adottato sempre politiche laburiste in tempi di contrazione del ciclo economico e misure di contenimento (austerity) nelle fasi eccessivamente espansive. A dimostrare che non esiste un modello economico per tutte le stagioni. Come nella moda, gli abiti si indossano in funzione del mese e delle occasioni. E si possono anche dismettere, quando non sono più utili o confacenti. Gli strumenti dell’economia sono rapportabili a modelli che si possono alternare o modificare in funzione delle circostanze.
Nel frattempo è diventato determinante – e dominante – il ruolo delle banche centrali che, da regolatori tecnici del flusso monetario, sono diventate i veri riferimenti della gestione politica della società.
È anche per questo motivo che il discorso di Mario Draghi al Meeting di Rimini è stato ascoltato e seguito con particolare attenzione. L’ex presidente della Banca Centrale Europea aveva già tenuto un discorso all’inaugurazione dell’anno accademico dell’università Cattolica quando gli venne conferita la laurea honoris causa (11 ottobre 2019): era in scadenza all’istituto di Francoforte e nelle sue riflessioni riprese alcuni concetti che sono comuni alla dottrina sociale della Chiesa (il progresso è da condividere e non appartiene a una sola parte della società, ad esempio).
La centralità dei giovani è stata scelta come uno dei temi al discorso di Rimini (18 agosto 2020), nel senso che sono le nuove generazioni il motore dello sviluppo, ma anche quelle che saranno chiamate a pagare il debito che si sta allargando a seguito delle misure di emergenza intraprese per contrastare il Covid-19.
Da qui un duplice richiamo: il primo a puntare sui giovani con politiche di investimento in formazione (la nuova frontiera degli investimenti in “opere pubbliche”) e il secondo a contenere l’elargizione a pioggia dei sussidi e dell’assistenzialismo (in un’ottica liberal e di attenzione alla moneta) con una distinzione tra debito buono e debito cattivo, su cui i commentatori si sono dilungati in ampie dissertazioni.
Degno di nota il fatto che Draghi abbia scelto ancora una volta una platea di cattolici (non parla più ai mercati…). Ha citato, con accentuata sfumatura di encomio, Alcide De Gasperi, cattolicissimo europeista, capo di Stato provvisorio, dopo il referendum favorevole alla repubblica, e presidente del Consiglio per ben 8 governi.
Al di là delle ambizioni personali dell’uomo (che Draghi punti al Quirinale è in questa sede un tema superfluo), è invece piuttosto rilevante sottolineare come nella visione dell’ex presidente della BCE, la sfida tra la visione laburista e quella liberale venga ad annullarsi. Quasi a dire che si debba cercare una terza via. La dottrina sociale della Chiesa offrirebbe questo spunto. Ecco perché Mario Draghi ha scelto di parlare ai cattolici esponendo il suo pensiero.
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