Fernando de Filippi

“L’ARTE NON SI È MAI FERMATA”

Lo afferma Fernando de Filippi, pittore, scultore e scenografo, direttore dell’Accademia di Belle arti di Brera per molti anni. Anche se si descrive come “artista del secolo scorso”, ha sentito il polso del nuovo tempo e lo sta seguendo

Fernando de Filippi inizia molto giovane la sua carriera artistica. Dopo gli studi presso l’Istituto d’Arte di Lecce comincia allestendo una mostra presso la “Galleria il Sedile” di Lecce nel 1959. Nel 1964 si diploma in scenografia all’Accademia di Brera, dove in seguito diviene docente e direttore (dal 1991 al 2009). Si occupa di pittura, fotografia, video, performance, installazione, scultura monumentale, scrittura. Dal 2009 al 2011 è direttore dell’Accademia di Belle Arti Cignaroli di Verona e svolge il ruolo di protagonista nella politica dell’arte in Italia. Nella sua lunga carriera ha allestito oltre 100 mostre personali in Italia ed all’estero. Partecipa a 5 edizioni della Biennale di Venezia; nel 1998 tiene una personale a Milano a Palazzo Reale; nel 2015 la Fondazione Mudima di Milano gli dedica “La rivoluzione privata 2”. Nel 2020, per i suoi 80 anni, Lecce gli dedica un’antologica nel Muso Provinciale. Nel 2023 tiene una mostra presso la galleria T&L di Parigi.

Come è cominciata la sua strada nell’arte?

In Italia, 40 anni fa c’erano gli istituti d’arte, che permettevano di apprendere  già alle medie inferiori gli strumenti del mestiere. Si dipingeva, si scolpiva, si disegnava insieme agli studi teorici. Con la riforma  della scuola media unificata queste istituzioni sono state spostate alla scuola media superiore. Dai 14 anni in su. Ma noi già a 11 anni avevamo i laboratori, dipingevamo, facevamo pittura, scultura, a 13 anni facevamo l’affresco. Il diploma dava accesso alle Accademie di Belle Arti ed ad Architettura. Io ho scelto l’accademia. A 19 anni mi sono trasferito a Milano per studiare a Bera. Qui ho trascorso 5 anni come studente e 40 anni prima come docente e poi come direttore. Insomma, nel palazzo di Brera ho trascorso buona parte della mia vita. Avevo uno studio in via Fiori Chiari. Io ero al primo piano, nel piano terra aveva lo studio Piero Manzoni.

Fare direttore è un’altra cosa rispetto a fare artista?

Il direttore non è un amministrativo, è eletto dai docenti ogni triennio, come il Rettore nell’università. Quindi è necessariamente legato ai docenti, alla sperimentazione, alla creatività. Quando sono entrato in accademia, l’impostazione didattica era ancora di tipo post rinascimentale, romantica. Tutti i giorni c’erano i laboratori, poi c’era la storia dell’arte, l’anatomia, l’incisione. La parte teorica si limitava praticamente alla sola storia dell’Arte. Negli anni ‘90 le accademie hanno subito una trasformazione radicale grazie ad alcune leggi che l’hanno trasformata in un istituto universitario.

Accanto alle discipline laboratoriali, proprie della tradizione, sono state aggiunte in modo massiccio quelle teoriche. Dalle analisi del mercato alla pedagogia, all’antropologia, psicologia, fashion, e via dicendo etc. Inoltre ai 4 corsi di Laurea tradizionali (pittura, scultura, decorazione, scenografia), sono stati affiancati nuovi corsi, dal Design, alle Nuove Tecnologie, Restauro, Fotografia, Didattica per l’arte. Da una scuola per soli maestri dell’arte, l’Accademia si è trasformata in una  struttura formativa che non solo prepara un intellettuale in grado di fare l’artista, ma anche di amministrare il settore delle arti visive, di occuparsi di Restauro, Design, Fashon, Beni Culturali etc.

Per i laureati è importante avere non solo competenze artistiche, ma anche imprenditoriali?

Infatti è stato attivato il settore marketing. Statisticamente ci sono più sbocchi occupazionali per i diplomati  delle accademia che per i laureati in Lettere ed altre discipline umanistiche. In Lombardia c’è una sola statale, Brera, che oltre agli Italiani ospita studenti di ben 49 nazioni diverse. Per circa 20 anni a Brera abbiamo prodotto corsi di master per 20 studenti all’anno finanziati dall’Unione europea. La maggior parte dei diplomati sono nelle strutture dirigenziali di enti come la Biennale, la Quadriennalе, i musei d’arte moderna. Le accademie sono diventate un’istituzione di avanguardia in Europa e nel mondo. Per questo penso che oggi lo studente delle accademie, abbia un ampio numero di sbocchi occupazionali.  Il programma Europeo “Erasmus” ha inoltre contribuito ad una internazionalizzazione della formazione.

Una mostra che ricorda, da quando è stato giovane artista?

Sono stato invitato nel 1971 a tenere una  mostra in Polonia, a Varsavia.  Ho vissuto per qualche settimana a stretto contatto con gli artisti locali. Gli artisti, nell’organizzazione socialista avevano, contrariamente a quello che avveniva nel sistema occidentale, una funzione sociale. Erano inseriti nei processi di lavoro. Qualunque immagine destinata alla collettività doveva essere approvata e firmata da un’artista. Avevo inviato in Italia Roman Opalka, poi rivelatosi uno dei più importanti artisti di quegli anni. Durante  il socialismo, almeno per quel poco che ero riuscito allora a comprendere, gli artisti sembravano godere di qualche  privilegio, anche se c’erano piccoli problemi, come per esempio occorreva richiedere i colori acrilici all’inizio dell’anno. Un problema piccolo in realtà ma amplificato dalla impossibilità di decidere.  Passare da questo a un capitalismo avanzato senza avere poi le strutture… Sono convinto, che il socialismo aveva dei limiti, ma non era proprio da buttare, perché aveva una giustizia sociale che non c’è più.

Anche nella sua arte appare il socialismo, Lenin, Cuba?

L’Italia è sempre stata il confine tra il mondo occidentale, filo americano, e  il mondo socialista. Si trattava di problemi sociali che in un certo senso hanno condizionato la ricerca artistica. C’era una specie di patto non scritto tra le grandi potenze. Ma nel ‘68 noi pensavamo di poter cambiare il mondo, di poter fare una rivoluzione culturale. Lenin era un simbolo della rabbia contro uno stato di cose. Nel mondo dell’arte, quando è nata la pop art, gli americani sono intervenuti anche economicamente. Loro proponevano la  Marilyn, e noi, in contrapposizione proponevamo Lenin,  Mao, Marx. Miti contrapposti. Per noi, giovani artisti ventenni, era una forma di reazione, una simbologia  opposta. Eravamo un gruppo compatto che si opponeva ad un sistema che utilizzava l’arte come merce: contestavamo tutto, alcune volte anche in senso autolesionistico. Volevamo che l’arte fosse non solo un problema di mercato, che uscisse dai luoghi deputati (gallerie e musei), per incontrare un pubblico vario composto anche dai non addetti ai lavori. Oggi si chiama “Arte Pubblica”.

Lenin parla agli operai e ai soldati alla stazione di Finlandia a Pietrogrado – acrilici su tela – 200×150 cm

Quali erano i cambiamenti nell’arte in quel periodo?

Negli anni ‘60 i giornali hanno incrementato la parte illustrata. È nata la fototipia ed è nato il problema dei mass media, dell’immagine. E noi non guardavamo più la natura, il paesaggio,  la figura umana. Cominciavamo ad utilizzare  i modelli della cultura, i mass media. Ma anche all’interno di questa nuova fase della ricerca, mentre la cultura occidentale celebrava la Coca Cola, la Campbell, noi proponevamo modelli alternativi al sistema capitalistico. Alla sacralizzazione degli oggetti di consumo quotidiani, noi opponevamo il risvolto di una mitologia sociale.

Nel 1970 sono stato per qualche tempo in Russia.  Ho cercato e trovato l’iconografia popolare che celebrava Lenin. Negli anni successivi, per circa tre anni,  ho lavorato su queste immagini, opponendo all’iconografia del consumo la mitografia di Lenin.

Come sarà l’intelligenza artificiale nell’arte?

Quando eravamo ragazzini, era preponderante la pittura naturalistica. Noi facevamo gli informali ed eravamo considerati dei matti perché andavamo contro quello che il sistema dell’arte proponeva. È quello che sta succedendo ora. L’introduzione e l’utilizzo dei sistemi tecnologici nel mondo dell’arte sono paragonabili al passaggio dalla pittura a fresco a quella ad olio.

Il web permette una fruizione globale ad un pubblico sparso in tutto il mondo permettendo a milioni di persone di fruire dell’opera e conoscere le nuove produzioni in tempo reale.

I primi lavori astratti, per esempio, non erano formalmente bellissimi, ma hanno creato mondi nuovi nel settore della ricerca artistica. Lo stesso sta succedendo adesso con l’Nft (not fungible token, qualcosa di non copiabile, ndr), con il robot che interviene sul prodotto artistico individuale, moltiplicandolo e vendendolo tramite il cellulare. Il cellulare, in questo caso, diventa il nuovo contenitore, una nuova forma di diffusione del prodotto artistico.

Penso che la rivoluzione tecnologica sia paragonabile a quella che è stata la rivoluzione del fuoco. L’arte non si è fermata mai: gotico, romanico, poi classico, barocco, c’è sempre una negazione, che diventa poi affermazione e genera di nuovo negazione. E questa è la forza della ricerca artistica che è stata  e continuerà ad essere la testimone del proprio tempo.

www.fernandodefilippi.it

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