L’EVASIONE FISCALE IN ITALIA
UN “BUCO” SEMPRE PIÙ AMPIO

di Carlo Cottarelli*

Vite basse consacrate alle tasse

Fanno l’occhiolino a Belzebù

(Francesco Gabbani)

Benjamin Franklin un giorno sentenziò: “In questo mondo, non c’è niente di certo, tranne la morte e le tasse”. Avrebbe forse riconsiderato questo suo aforisma se fosse vissuto in Italia. L’evasione fiscale resta un vizio comune nel nostro paese, un vizio che però non tutti si possono permettere. C’è chi le tasse le paga e chi non le paga. O, forse dovremmo dire, c’è chi le tasse non può evaderle e non lo fa e chi può evaderle e lo fa. Sì, perché la differenza tra chi paga e chi non paga non riguarda solo l’onestà delle persone: riguarda anche la possibilità di evadere. Ma non generalizziamo troppo e procediamo passo per passo.

Cosa vuol dire “evadere le tasse”? In senso stretto, vuol dire porre in essere consapevolmente dei comportamenti illegali per non pagare quanto è dovuto. L’evasione comporta la violazione di una legge. Possono esserci altri motivi per cui non si pagano le tasse dovute, per esempio per errore. Quindi il concetto di tasse non pagate (in inglese spesso si parla di tax gap) è un po’ più ampio di quello di tasse evase. La stragrande maggioranza delle tasse non pagate è però rappresentata dalle tasse evase, cioè tasse per cui intenzionalmente si è deciso di non pagare, magari spinti dalle circostanze, ma non per errore.

Oltre che di evasione fiscale, si parla spesso di “elusione fiscale” e di “erosione fiscale”. Che differenza c’è tra evasione, elusione ed erosione? Come ho detto, l’evasione comporta la violazione della legge. L’elusione indica invece un comportamento più ambiguo: cercare di risparmiare su quanto si paga senza violare formalmente le leggi, ma sfruttandone le ambiguità interpretative. È un’area grigia, che spesso esiste perché le norme fiscali lasciano spazio a interpretazioni. E che cosa si intende per “erosione fiscale”? Qui la perdita di gettito per lo stato non deriva da comportamenti illegali o ambiguità nella scrittura e interpretazione delle leggi, ma dalla decisione del legislatore di esentare certe attività o certi soggetti dalla tassazione, per perseguire finalità di interesse generale (per esempio quando si esentano dalle tasse le aree terremotate) o, talvolta – e forse spesso – per fare gli interessi di qualche lobby. (…)

Quanto si evade in Italia

A quanto ammontano le tasse e i contributi sociali che dovrebbero essere pagati e non lo sono? Non si sa esattamente, ma ci sono delle stime per l’Italia e per l’estero. Queste stime sono di solito basate su informazioni inerenti l’attività economica complessiva di un paese, e quindi sulla base imponibile, di fonte non tributaria. Date le aliquote di tassazione si arriva poi a una stima del gettito teorico. Per esempio, semplificando, se l’Istat stima che i consumi degli italiani sono 100 e se l’aliquota Iva, che è una tassa dei consumi, è del 20 per cento, allora il gettito teorico è 20. Se quello effettivo è 15, allora l’evasione è di 5. Il metodo di calcolo è solitamente ben più complicato che in questo esempio, ma l’idea è quella.

L’ultimo rapporto ufficiale che ci dà una stima di quanto viene evaso in Italia, basata sull’approccio descritto, è quello della commissione guidata da Enrico Giovannini e costituita in base a una legge del settembre 2015, comprendente docenti universitari, rappresentanti di vari ministeri, dell’Agenzia delle entrate, dell’Istat, della Banca d’Italia, ecc. Questo rapporto calcola che l’evasione in Italia sia stata pari a 111 miliardi nel 2014. Il rapporto ci dice anche che, per le sole tasse (il dato non è riportato per i contributi sociali) la percentuale di evasione (quanto è evaso rispetto a quanto si sarebbe dovuto pagare) è di quasi il 24 per cento. Insomma, in media non si paga quasi un euro su quattro.

In media, ma non tutte le tasse sono evase in modo eguale. La percentuale di evasione per l’Irpef sul lavoro dipendente è bassissima (meno del 4 per cento), mentre quella sul lavoro autonomo è la più alta (il 68 per cento). L’evasione delle imposte sulle imprese è del 29 per cento, mentre fanno meglio l’Iva (“solo” il 27 e mezzo per cento viene evaso), e l’Imu (il 27 per cento nel 2013, ma solo il 21 per cento nel 2012), forse perché è più difficile nascondere case e fabbricati – uno dei motivi per cui è stato un errore togliere l’Imu sulla prima casa.

Il rapporto Giovannini, però, non copre tutte le entrate fiscali: il calcolo di quanto viene evaso non include l’evasione sui contributi per il lavoro autonomo e su alcune tasse relativamente più piccole: resta escluso in totale un quarto delle entrate. L’evasione in Italia è quindi più alta dei 111 miliardi stimati. Di quanto? Ho fatto qualche calcolo basato su ipotesi che penso siano realistiche. Per esempio, ho ipotizzato che il grado di evasione dei contributi sociali dei lavoratori autonomi sia uguale a quello dell’Irpef degli autonomi. Ho invece ipotizzato che il grado di evasione delle ritenute sugli interessi, versati dalle banche, sia zero, e così via. Così facendo, sono arrivato a una stima dell’evasione totale di almeno 130 miliardi, ossia il 16 per cento delle tasse che si sarebbero dovute pagare e l’8 per cento del Pil del 2014.

Come si modifica il Pil

Per capire quanto sia rilevante questa cifra rispetto alla necessità di far quadrare i conti pubblici occorre considerare che nel 2014 lo squilibrio tra entrate e spese pubbliche è stato di circa il 3 per cento del Pil. Quindi, se ipoteticamente tutte le tasse fossero state pagate, ci sarebbe stato un surplus del 5 per cento del Pil. Questo è un calcolo meccanico (non si può per esempio pensare che il Pil resti immutato se la pressione fiscale aumenta di oltre otto punti percentuali), ma dà l’idea di quanto anche una piccola riduzione dell’evasione fiscale potrebbe essere importante per far quadrare i conti (il nostro bilancio pubblico non è mai stato in pareggio dal 1876…). Se dal 1980 l’evasione fosse stata di solo un punto percentuale di Pil più bassa, il nostro debito pubblico, tenendo conto del risparmio di interessi, sarebbe ora del 70-75 per cento del Pil invece che di oltre il 130 per cento. Che sarebbe poi successo se le entrate derivanti dall’eliminazione dell’evasione fiscale fossero state destinate a tagliare le tasse di chi le paga, attraverso una riduzione delle aliquote fiscali? Di quanto si sarebbero potute ridurre le tasse? Con qualche approssimazione, si può calcolare che le aliquote di tassazione degli “onesti” si sarebbero potute ridurre di quasi il 20 per cento. Sarebbe un’Italia diversa.

Ora, non esaltatevi troppo. Non è poi così facile ridurre l’evasione. In ogni caso, è del tutto irrealistico pensare di ridurre l’evasione a zero. Si evade anche all’estero, dappertutto. Si potrebbe però almeno cercare di ridurre l’evasione a livello di quella degli altri paesi. Da noi si evade invece molto di più.

  • Brano tratto dal libro “I sette peccati capitali dell’economia italiana” pubblicato da Feltrinelli, Milano, 2018 (pagg. 11 – 17).

 

 

 

 

 

*Carlo Cottarelli (Cremona, 1954), laureato a Siena e alla London School of Economics, ha lavorato in Banca d’Italia, Eni e, dal 1988 al 2013, al Fondo Monetario Internazionale. Dopo un anno passato in Italia come Commissario straordinario alla spesa, da ottobre 2013 a novembre 2014, e un ritorno al Fondo Monetario come direttore esecutivo, è oggi direttore del nuovo Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano e Visiting Professor all’Università Bocconi. Ha scritto numerosi articoli e saggi accademici. Si ricordano tra le sue pubblicazioni di successo, La lista della spesa (2015) e Il macigno (2016).

 

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