L’INNOVAZIONE COME SISTEMA LO “SGUARDO” AZIENDALE A 360°

Giordana Taggiasco*

 

Innovare ad ampio spettro non è sufficiente. Il presupposto è che l’impresa si apra all’esterno e adotti approcci “allargati” nei confronti delle relazioni con il proprio ambiente di riferimento che può trasformarsi in una grande opportunità di sviluppo per quelle imprese che sapranno valorizzare e comunicare i punti di forza del “Made in Italy”. Questo comporta considerare come fonti dell’innovazione sia quelle interne (disponibilità di conoscenze e competenze esistenti all’interno dell’impresa, anche quelle indirette, quali la progettazione, il marketing, il progresso tecnico incorporato nei nuovi macchinari e impianti e il progresso tecnico acquisito grazie a licenze su brevetti di altri soggetti), sia quelle esterne (informazioni provenienti dai propri fornitori, dai clienti, dai concorrenti, da fiere di settore, da riviste tecniche, dalle reti informatiche, dai centri e dagli istituti di ricerca). Per accedervi è appunto necessario ragionare in ottica sistemica, considerando i diversi attori coinvolti: oltre ai soggetti interni all’impresa, anche le istituzioni e i centri di ricerca dovrebbero essere parte attiva del processo di innovazione.

Un processo innovativo

Funzione base di queste istituzioni dovrebbe, quindi, essere quella di creare un ambiente che sia favorevole all’innovazione che coinvolga il sistema educativo, la formazione, le strutture di ricerca e sviluppo tecnologico, il sistema legislativo. Infatti, i processi innovativi richiedono logiche di sistema, il supporto dello Stato e un sistema finanziario che ne favoriscano lo sviluppo. Non solo. Non bisogna dimenticare, infatti, l’ambito della relazione tra imprese, quello degli accordi interaziendali. In quest’area, da sempre importante per l’imprenditoria italiana e che ha visto in molti casi il prevalere della territorialità, si assiste al venire meno di quest’ultimo aspetto a favore delle caratteristiche e della strategicità dei partner.

Nell’ambito di questo cambiamento, si possono individuare nuove forme di collaborazione tra imprese e lo svilupparsi di una nuova concezione della rete, che si sposa pienamente con l’innovazione ad ampio spettro (quella che interessa congiuntamente il processo, il prodotto, l’organizzazione, la rete commerciale, la logistica, gli acquisti e gli approvvigionamenti). Le imprese si vivono come una costellazione di attori strategicamente autonomi che, indipendentemente dalla distanza fisica e dal fatto di essere o meno concorrenti, comunicano, si alleano e cooperano per sfruttare i vantaggi derivanti dalle loro reciproche complementarietà. Il network tra imprese va, quindi, al di là della similitudine delle caratteristiche del contesto locale e della contiguità fisica, va oltre le barriere spaziali e temporali, ma fa comunque circolare conoscenze, esperienze, professionalità e idee. Il contesto naturale in cui si scambia il know-how lo si apprende e lo si rigenera e dove si condividono linguaggi e valori diviene la relazione tra le imprese, non più il territorio.

Una rete evoluta

La relazione tra imprese concepita in questo modo diviene, di fatto, uno dei principali ambiti dell’innovazione ad ampio spettro. Gli effetti positivi della rete così evoluta si verificano soprattutto quando ogni nuova tecnologia o innovazione è complementare ad altre sviluppate dalle aziende del network. In questo modo, ogni contributo innovativo, oltre a fornire un vantaggio per la singola impresa, rende efficiente il sistema a livello globale. Tale processo di fertilizzazione avviene anche tra aziende concorrenti che su determinati ambiti possono avere la convenienza a spostare la relazione dal piano concorrenziale a quello collaborativo, in un processo di contaminazione reciproca che prevede lo sfruttamento delle eterogeneità degli attori, delle conoscenze e delle risorse disponibili.

L’innovazione della piccola e media impresa italiana dovrebbe, quindi, essere un processo che si avvale del supporto della rete di relazioni che le gravita intorno, ma nella realtà è frenata da quattro principali ostacoli che ne rendono difficile il percorso di attuazione.

Prima di tutto, le difficoltà di natura istituzionale. Università e istituti di ricerca, infatti, dovrebbero contribuire in maniera determinante allo sviluppo di nuove idee, metodi, prodotti e professionalità. Il limite principale è che oggi sono strutture che soffrono ancora eccessive rigidità burocratiche e organizzative per cui non è sempre semplice, laddove vi sia la volontà dell’azienda, trovare una collaborazione che sia proficua per entrambe (basti pensare che nel nostro Paese la percentuale di imprese che hanno accordi stabili di cooperazione con le Università si aggira intorno al 2%, mentre la media europea è di circa il 10%).

Spesso le Università e i centri di ricerca tendono a portare avanti i loro progetti senza preoccuparsi di verificare se effettivamente hanno un mercato in termini di imprese interessate a sviluppare un prodotto. Senza parlare poi della diversa natura della ricerca svolta, distante dall’essere fortemente applicativa, incrementale ed esperienziale come quella imprenditoriale. E, non ultimo, non bisogna dimenticare i problemi economico-giuridici legati alla proprietà dei risultati. La non comunicazione tra il mondo delle imprese e quello universitario è prima di tutto un problema culturale e storico che ha all’origine differenze reciproche di linguaggio, esigenze e obiettivi che sommati agli ostacoli normativi e burocratici rendono questi due mondi ancora distanti.

Ostacoli economici

Secondo, un ostacolo di natura economica, conseguente agli elevati investimenti necessari per sostenere il cambiamento e alla difficoltà di accedere ai finanziamenti.

Terzo, quello di natura imprenditoriale, legato all’incertezza dei risultati e della risposta del mercato ai cambiamenti introdotti dall’impresa. Il problema ha la sua radice nella natura stessa del processo innovativo: il rischio e l’incertezza ne sono parte integranti. L’innovazione, infatti, rischia di essere frenata dalla incapacità dell’imprenditore di prevedere gli eventi, aggravata dalle piccole dimensioni e da scenari sempre più complessi. Inoltre, anche se le tecnologie si rivelano in seguito vincenti, esiste il rischio che non seguano la strada prevista inizialmente e che il mercato sia imprevedibile nell’accettazione delle tecnologie stesse.

Un quarto ostacolo parte dalla considerazione che l’orientamento all’innovare è una questione di cultura organizzativa. Il più importante fattore che condiziona la capacità dell’impresa ad adottare e realizzare strategie innovative non è la sua struttura organizzativa ma la sua cultura: diventa perciò necessaria l’esistenza di un orientamento all’innovazione collettivo che sia di sostegno al superamento degli ostacoli evidenziati. L’innovazione deve quindi diventare un comportamento diffuso, un vero e proprio modus lavorandi, finalizzato alla creazione di un ambiente innovativo. Il vertice stesso deve sviluppare un complesso di sistemi, procedure, cambiamenti strategici e culturali a sostegno dell’innovazione. Deve promuovere l’imprenditorialità del singolo: diffuso, di conseguenza, deve essere lo stimolo e il sostegno allo spirito di iniziativa e creatività individuale. Il valore della responsabilità, dell’affidabilità, del vivere in prima persona i problemi dell’azienda deve essere il più possibile diffuso all’interno dell’impresa. E la piccola e media dimensione favorisce la circolazione delle informazioni e lo sviluppo di interazioni tra le diverse professionalità presenti all’interno, dove le conoscenze necessarie a dare corpo all’idea innovativa si combinano con maggiore probabilità.

Innovare ad ampio spettro, aprirsi verso l’esterno, fare sistema con gli attori che la circondano, essere culturalmente orientata al cambiamento: queste quindi le spinte necessarie per la piccola impresa che vuole intraprendere la strada dell’innovazione, superandone gli ostacoli.

La costante vera, all’interno di questo percorso di trasformazione, resta la centralità della figura dell’imprenditore che mantiene e in alcuni casi accentua il peso del suo ruolo come agente del cambiamento. Si tratta di imprenditori forti, quelli che presidiano tutte e tre le componenti della strategia aziendale (prodotto, mercato e tecnologia) e che nell’innovazione vedono un rafforzamento della propria formula imprenditoriale, a cui non manca il coraggio di arricchire l’azienda con nuove conoscenze, nuove attitudini e nuove tecnologie per affrontare la sfida che un mercato sempre più globale lancia loro quotidianamente. Sono i nostri nuovi “campioni nascosti”, dove la spinta dell’imprenditore all’innovazione diventa la condicio per far compiere alla propria impresa un vero salto di qualità attraverso la capacità di sviluppare tecnologie originali o di impiegare quelle esistenti per lo sviluppo di prodotti e applicazioni realmente innovative.

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  • Terzo capitolo del libro “L’innovazione parla anche italiano”, pubblicato da Il Sole 24 Ore Libri, Milano, 2008 (pagg. 21-25)

 

 

 

 

 

 

Giordana Taggiasco è docente presso la SDA Bocconi – Area Organizzazione e Personale, e Docente di Organizzazione delle Piccole e Medie Imprese presso l’Università della valle d’Aosta. Il suo ambito di ricerca è relativo alle specificità organizzative delle piccole e medie imprese.

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