TRASANDATEZZA, MALE DIFFUSO IN UNA SOCIETÀ SCOMPOSTA
Telefonate e e-mail ignorate; messaggi sulle app senza risposta: un diffuso atteggiamento di supponenza può recare un danno alle aziende. Anche dove si parla di sostenibilità
Domandare è lecito, rispondere è cortesia, dice un vecchio adagio. Ma proprio qui sta il punto: troppo spesso richieste o domande rivolte da soggetti diversi a dirigenti d’azienda – di qualsiasi livello – rimangono inevase, senza risposta. Con un atteggiamento di supponenza che indispone il postulante, che si è rivolto con cortesia e con attenzione e pertinenza per ciò che chiede.
Le telefonate sono il primo mezzo che crea selezione: il supponente risponde solo a una ben ristretta cerchia di contatti, non necessariamente amici, ma persone con le quali si intrattiene un rapporto, spesso con interessi neanche troppo celati.
La posta elettronica è modalità fra le più diffuse per entrare in contatto con chicchessia: a quante e-mail si risponde? Anche in questo caso c’è una selezione a prescindere da chi sia l’interlocutore o da cosa richieda o segnali, informi.
Chi possiede un numero di cellulare si ritiene privilegiato, soprattutto se ad esso è abbinato whatsapp, una delle applicazioni più diffuse. Si manda il messaggio ed ecco che non giunge alcuna risposta, anzi si ha il dubbio che non sia stato nemmeno letto – le due freccette che divengono azzurre, in caso di lettura, ma c’è la funzione che consente di non dare questa conferma, anche in caso di lettura – con delusione di chi ha scritto il messaggio.
Termini in disuso
Questi atteggiamenti, anche se non denotano un atteggiamento manicheo, segnalano una certa trasandatezza, un menefreghismo per cui, per dirla con il marchese Del Grillo, “Io sono IO, e voi non siete un c…”. D’altra parte in una società così scomposta, quale la nostra, dove anche un esponente politico si sente in diritto-dovere di girare con un’arma e anche di uccidere, intenzionalmente o casualmente lo stabilirà l’organo inquirente, non possiamo stupirci se educazione, cortesia, correttezza siano termini e atteggiamenti caduti in disuso. Gettati in una sorta di discarica culturale da chi applica quel relativismo in base al quale tutto ha una spiegazione, una scusante, un alibi e si dà così vita a un’etica negativa: sempre pronti a giustificare soprattutto i giovani, dove il termine “una ragazzata” viene utilizzato anche dove c’è stato uno stupro, un omicidio stradale, una rissa con vittime.
Nell’ambito aziendale atteggiamenti di siffatta natura risultano nocivi per i dipendenti, in un clima di tensioni, sospetti, genuflessioni al “capo”, e via dicendo. La comunicazione viene mortificata, proprio in questo momento in cui molti, forse troppi, parlano di sostenibilità senza sapere che al centro di essa c’è il rispetto della persona: da lì parte l’autentica sostenibilità, poi si parla del resto, ambiente, clima, verde…
Opportunità perse
E nessuno si chiede: ma un messaggio ignorato quali conseguenze può, o poteva, avere per l’azienda? Magari una proposta d’incontro per illustrare un progetto, una richiesta di intervista su un argomento di particolare interesse – ma c’è chi è sempre pronto a dire “sì” se la richiesta giunge da un’emittente televisiva o da qualche giornale di forte richiamo, altrimenti non si risponde neanche -, un invito a un evento… Quante opportunità vengono così perse, opportunità che possono risultare foriere di risultati interessanti per la propria impresa?
Ma non sempre è così. Infatti, non si vuole generalizzare. Ci sono responsabili marketing e risorse umane che sono molto attenti anche alle proposte di carattere operativo. Eccezioni, purtroppo, nel mare magnum della trasandatezza, un mare ignoto in Russia, Germania, Svezia, Spagna… Paesi dove si risponde a chi scrive con correttezza e competenza. Perché, a ben pensarci, è solo una questione di educazione. Così trascurata nel Bel Paese.
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