DA “VAFFA” A “TERRONE”, L’OFFESA NELLA SOCIETÀ SCOMPOSTA

Ingiurie sempre più diffuse, passando dal privato al pubblico. Il florilegio di parolacce diffuso e amplificato dai social, dalla televisione, ma anche nei locali pubblici, nella quotidianità. Invece l’educazione aiuta anche il business

Il turpiloquio, sempre più diffuso, sempre più palese, manifesto, come un biglietto da visita da esibire con soddisfazione… La società scomposta trova il proprio lessico preferito: l’insulto, che può essere di vario genere. La società scomposta, come ho già ricordato si caratterizza per due aspetti: è la società dove alligna la maleducazione, l’inciviltà, dove la genitorialità è concetto astratto per nulla applicato. Ma è scomposta anche perché non ha coesione, c’è molto individualismo, pur con le dovute eccezioni.

A proposito di maleducazione e genitorialità riferisco un episodio di cui sono stato testimone. Dove abito, c’è un negozio che svolge l’attività di edicola e tabaccheria. Un giorno attendo in fila per poter entrare – le norme sul Covid lo imponevano – quando esce una signora insieme a una bimba di 3-4 anni. La piccola ferma la madre e le sussurra qualcosa. La risposta: “Cazzo, ma non me lo potevi dire prima, eravamo già dentro!”

Ecco, entriamo nei bassifondi del linguaggio e in questo episodio c’è l’utilizzo di uno dei termini più diffusi nell’area gergal volgare, unito da un atteggiamento materno da censurare. Ma provate a parlare di buona educazione in un’occasione qualunque: verrete guardati con sufficienza, oppure con finta attenzione, in pochi si soffermeranno su ciò che dite, ma non è detto che condividano le vostre considerazioni.

Ora c’è un libro che ripercorre i passaggi salienti dell’uso del turpiloquio: “Brutte, sporche e cattive. Le parolacce della lingua italiana” (Carocci editore, 2022), scritto da Pietro Trifone, che insegna Storia della lingua italiana all’Università Tor Vergata a Roma. Lo studioso mette in evidenza il “colorito frasario volgare e mostra che il linguaggio basso e sprezzante, per la sua straordinaria potenza emotiva, esiste da sempre. Negli ultimi decenni, però, il turpiloquio ha infranto le barriere che ne regolavano la circolazione: non è più – si legge nelle note di presentazione del testo – ‘una cosa da uomini’, né una risorsa espressiva di uso marginale, ma è sconfinato dal privato al pubblico, nella fluviale comunicazione social e perfino nel dibattito politico”. In buona sostanza, Trifone raccoglie le “testimonianze” che portano a definire il periodo che stiamo vivendo – soprattutto gli ultimi quarant’anni – “l’epoca d’oro dell’ingiuria”.

E nei dibattiti televisivi, ma anche nei film o nelle serie tv, così come a un tavolo di ristorante, a scuola come ai giardini pubblici… sentiamo con le nostre orecchie un florilegio di epiteti (“vaffanculo” è molto diffuso, e c’è anche chi ne ha fatto uno slogan politico) che mal si adattano ai contesti in cui vengono pronunciati. Ma poi c’è lo stadio, una cloaca massima di contumelie: Pietro Trifone cita, a titolo di esempio, due striscioni esibiti in occasione di un derby Roma-Lazio: “le insolenze gravemente razziste dei tifosi della Lazio (“Una squadra de negri, una curva de giudei, questi non sono cugini miei”) ricevono una pronta replica non meno faziosa e intollerante dei tifosi della Roma (“Una squadra de froci, una curva de burini, questi non sono i miei cugini”)”. L’autore precisa che questo passaggio è stato ripreso da un articolo di Anna Maria Boccafurni. Trifone comunque è drastico nel considerare il diffuso turpiloquio a Roma il deficit massimo di “buona creanza” tanto da definire la città “la capitale italiana del turpiloquio”, deficit che “ha probabilmente la sua manifestazione più vistosa proprio nella propensione alla sbracatezza”. L’opera di Trifone è un’accurata ricerca di un docente universitario di Storia della lingua italiana e nel suo saggio troviamo riferimenti di carattere storico-sociale, un’analisi accurata sulle opere di Dante, e molteplici esempi di come sono nate e sono state talora modificate alcune parolacce.

 

Fa da contraltare a tutto questo l’invito alle buone maniere sollecitato proprio in una delle nostre interviste da Simona Artanidi, giornalista, titolare dell’associazione Business Etiquette. Nella sua presentazione si parla di gentilezza, di proattività, di “un approccio educato” verso il cliente. Perché per concludere buoni affari l’educazione aiuta.

 

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