IL COP26 DI GLAGOW SUL CLIMA: SOLO UNA SERIE DI ENUNCIATI?

IL COP26 DI GLAGOW SUL CLIMA: SOLO UNA SERIE DI ENUNCIATI? In programma dal 31 ottobre al 12 novembre. Quattro temi nell’agenda dei lavori: emissioni, adattamento, finanziamenti e collaborazione internazionale. Ma nel 1972 lo studio del MIT sull’ambiente, commissionato dal Club di Roma, rimase lettera morta: accadrà anche oggi?

“L’aumento della popolazione, la disponibilità di cibo, le riserve e i consumi dele materie prime, lo sviluppo industriale e l’inquinamento”.  Si tratta forse dell’anticipazione dei temi che saranno trattati al Cop26, la conferenza sul cambiamento climatico (Glasgow 31 ottobre – 12 novembre prossimi)? No, si tratta di una considerazione che compare nelle note di presentazione del libro “I limiti dello sviluppo. Rapporto del System Dynamics Group Massachusetts Institute of Technology (MIT) per il progetto del Club di Roma sui dilemmi dell’umanità” (Mondadori Est – 1972). Uno studio un po’ datato? Dal punto di vista cronologico sì, per i risultati riportati no: i modelli matematici utilizzati in quegli anni hanno consentito di sviluppare proiezioni e grafici fino all’anno 2100. E per quanto riguarda questo decennio i dati si discostano dalla realtà in misura dello 0,2%!

Ricordiamo anche cos’era il Club di Roma. Fondato nel 1968 da Aurelio Peccei, imprenditore italiano, nel’64 amministratore delegato della Olivetti, dopo essere stato dirigente alla Fiat, con lungimiranza riunì “un gruppo internazionale di personalità del mondo scientifico, economico e industriale, preoccupati della crescente minaccia implicita nei molti e interdipendenti problemi che si prospettano per il genere umano”, si legge sempre nelle note di presentazione. Su indicazione del Club di Roma il prestigioso MIT realizzò lo studio che è raccolto nel libro sopra citato.

Oggi siamo al Cop26 di Glasgow. Nella presentazione dell’avvenimento si legge che “la sfida non è insignificante – ci mancherebbe! ndr  -, ma dobbiamo affrontarla per salvare l’ambiente in cui tutti noi viviamo”. E ancora: “Il Regno Unito e l’Italia hanno assunto l’impegno di mettere il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità al centro dell’agenda multilaterale nel 2021, anche attraverso le presidenze di G7, G20 e COP26”. Lodevole.

Con riferimento alla partnership, se così vogliamo definirla, fra Regno Unito e Italia, si afferma anche: “Per questo lavoreremo assieme ai nostri partner internazionali e attraverso le nostre Presidenze sosterremo una ripresa verde e resiliente a favore di una crescita sostenibile e dell’occupazione, e che tuteli le comunità più vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici. 

Chiediamo a tutti i Paesi di presentare dei contributi determinati a livello nazionale che siano ambiziosi e di definire le proprie strategie di lungo termine per azzerare le emissioni nette con largo anticipo rispetto alla COP26”.

Cop 26 si propone di lavorare su quattro obiettivi:

  • un cambio di passo negli impegni per la riduzione delle emissioni
  • aumentare gli sforzi per l’adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici
  • ottenere finanziamenti per l’azione per il clima
  • rafforzare la collaborazione internazionale, anche per le campagne della COP26 sulla transizione energetica, il trasporto su strada pulito e la natura.

Un’agenda impegnativa. Una serie di enunciati di grande rigore e che in molti condividono. Ma cosa dobbiamo attenderci? Un famoso detto ricorda che “le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni”. In altri termini: dobbiamo attenderci un altro capo di stato, di una super potenza, che straccia gli accordi sul clima? Oppure una serie di proponimenti che rimangono sulla carta e il tutto si traduce in qualcosa che è stato definito bla-bla-bla?

Scriveva Salvatore Veca, filosofo, docente universitario, scomparso di recente: “…la razionalità ha la funzione evolutiva di consentirci di cavarcela nelle nuove e mutevoli circostanze di oggi e in quelle future, annunciate da indizi molto spesso di terrificante complessità”. (Dell’incertezza, Feltrinelli editore, 1997, pag. 296). La razionalità, dunque, è la chiave di volta: se il pianeta è inquinato, il fatto è evidente in maniera apodittica. E l’uomo sa di avere a disposizione gli strumenti indispensabili per rimediare ai danni recati alla natura, anche laddove oggi appaiano di terrificante complessità, per parafrasare Veca. È l’auspicio che deve accompagnare (illuminare) i partecipanti al Cop26. Ciò che preoccupa è anche lo sguardo rivolto al passato: dello studio del MIT, commissionato dal Club di Roma, non se n’è fatto nulla. Sono trascorsi cinquant’anni, si sarebbe potuto fare molto. Non possiamo lasciar passare un altro mezzo secolo, sarebbe troppo tardi. Per tutti.

 

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