L’INDICE IFIIT DEL MESE DI SETTEMBRE
Innovare, tra luci e ombre

Settori in difficoltà (commercio, edilizia); sistema del credito impreparato a valutare progetti di sviluppo; l’innovazione “fai da te” e non network: ecco alcune cause di incertezza nella crescita

Le rilevazioni di Ifiit di settembre confermano i livelli raggiunti nel corso degli ultimi mesi con una ripresa delle attenzioni da parte della platea di intervistati verso le scelte innovative, di processo e di prodotto. Tuttavia sono dati da leggere in chiaroscuro. Perché la produzione ha ripreso, ma in molto aziende ciò è avvenuto con modelli vecchi e grazie al recupero della domanda internazionale. C’è insomma un effetto traino, che conferma quanto la nostra crescita sia congiunturale e non strutturale.

Di questi tempi, non tutte le imprese possono permettersi di fare innovazione e non tutte le imprese che la fanno riescono a imporsi come vorrebbero. Perché accade questo se “innovare” è diventato il Verbo dei nostri tempi? Non c’è politico che non insista sulla “necessità di innovare” e di dare al sistema economico “maggiore competitività”. Ma se andiamo a vedere i dati che l’Indice Ifiit rileva da alcuni mesi a questa parte, si scopre che solo un’impresa su tre ha avviato e sta avviando progetti di innovazione tecnologica e che da questo livello è forse difficile schiodarsi, almeno per il momento. Quali sono le ragioni di tale scarsa adesione al modello della competizione innovativa che si sta affermando su scala planetaria? Sulla base delle risposte date al questionario da parte del campione degli imprenditori su cui ha riflettuto il Focus Group di Ifiit, queste sono le ragioni, in scala gerarchica:

1) il tessuto industriale del nostro Paese è ancora caratterizzato dalla presenza di aziende micro, piccole e artigianali, dove l’innovazione sofisticata stenta a entrare. A ciò si aggiunga anche la scarsa dinamica di due settori che risentono ancora della crisi: il commercio al dettaglio e l’edilizia.

2) Il sistema del credito è abbastanza propenso ad avvicinare le imprese, ma ancora impreparato a valutare progetti innovativi senza il ricorso a consulenti esterni e in queste sfere si giocano complessi ricami di interessi che favoriscono alcuni settori piuttosto che altri.

3) Le aziende che innovano sono solo o prevalentemente quelle che sono esposte sui mercati globali, che hanno internazionalizzato o che sono nate all’interno di nicchie dove il know-how è il vero fattore strategico. Comparti come il farmaceutico, l’avionico, la meccanica fine, ma anche tanti altri, non si improvvisano.

4) L’innovazione si fa in network e non da soli. Solo le imprese che hanno una costellazione di relazioni (con fornitori, clienti, concorrenti, diversi mercati, accordi, partnership, joint-ventures, etc.) sono nelle migliori condizioni per recepire e sviluppare nuovi progetti.
In questo caso è tipico il caso dell’automotive: settore dove non esiste più una fabbrica chiusa e gerarchica ma un centro direttivo centrale agganciato a nodi esterni, in uno o più paesi, con fornitori posti in concorrenza tra loro, ai quali si impongono i capitolati per la produzione, con il risultato che il carico di oneri per l’innovazione viene “scaricato” all’esterno dalla casa madre.

5) Apparentemente sembra l’ultimo fattore critico, ma è quello più importante. Riguarda la formazione. I nostri sistemi educativi e formativi sono orientati all’innovazione solo a parole. Le eccellenze didattiche sono poche e male trattate. Nel medio e lungo termine, se non si pone mano con un atteggiamento rivoluzionario al problema, l’Italia rischia di avere personale non qualificato per le nuove imprese che verranno, se verranno. Il Piano Industria 4.0 richiede un salto davvero evolutivo su questo punto. Non c’è innovazione se non c’è know-how adeguato. Un’altra sfida che si aggiunge alle precedenti.
Potete scaricare gratuitamente il report da questo link.

POSSONO ANCHE INTERESSARE

✓ Trump e Brexit spingono l’innovazione europea e italiana Significativi incrementi nella spesa per nuove attrezzature
✓ Design, moda, piani industriali, università: a Milano un (mini)boom economico grazie a investimenti appropriati
✓ Da Ifiit di maggio una conferma: avanti piano, ma avanti
✓ Maggiori investimenti dall’estero, crescita delle esportazioni: l’indice di nuovo in crescita
✓ Conforta l’economia reale, preoccupa il quadro geopolitico

Condividi
Share

Commenti

be the first to comment on this article

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Vai a TOP