ITALIA E CINA, EXPORT AL TOP
IN UN DIALOGO DA RITROVARE
“Opportunità di crescita per il made in Italy”, afferma Giuliano Noci, prorettore del Politecnico di Milano. Patto Atlantico e Gruppo di Visegrad: modifiche geopolitiche a causa della guerra
Italia e Cina. Un memorandum del 2019 da valutare. E anche un possibile rilancio del made in Italy apprezzato da quel Paese. Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, delinea la situazione odierna dei rapporti tra i due Paesi. “Nella fase congiunturale attuale – osserva il docente – l’Italia è orientata a non rinnovare il Memorandum Understanding del 2019, accordo famoso come Via della Seta (articolato in 29 punti, per un controvalore in termini commerciali di 7 miliardi di euro, ndr). Perché? C’è un Patto Atlantico da rispettare, prima di tutto, dato il quadro generale che si è venuto a creare sullo scacchiere internazionale, con la Cina così aggressiva nei confronti dell’Occidente. Però questo non significa chiudere con la Cina, anzi, sarà indispensabile per il Presidente del Consiglio mantenere aperto il dialogo con un meccanismo di interlocuzione che consenta al Paese orientale di salvare la faccia, di fronte a un mancato rinnovo di un accordo di tale portata”.
In altri termini: per la produzione e l’export italiani rimangono opportunità di crescita. “Ma certamente. E questo nell’interesse anche degli Stati Uniti, sul fronte Nato, perché l’Italia garantisce un notevole equilibrio all’interno dell’organismo. La Cina apprezza i nostri prodotti e le cifre parlano chiaro: sulla base dell’osservatorio economico del ministero di competenza nel 2022 abbiamo esportato prodotti per un valore di oltre 16 miliardi di euro, ma nei primi quattro mesi di quest’anno siamo già ben oltre quota 8 miliardi”.
Uno sguardo all’Est Europa. La guerra in Ucraina rappresenta un elemento di discontinuità molto evidente: il Gruppo di Visegrad – costituito nel 1991 da Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria – costituiva un ponte verso la Cina, oggi è rimasto il solo Horban ovvero l’Ungheria, “perché gli altri tre Paesi si sono allontanati: l’atteggiamento ondivago di Xi Jinping nei confronti di Putin è visto come una minaccia, pertanto si è registrato un riavvicinamento al Patto atlantico. D’altra parte la Cina stessa non vuole avere una Russia indebolita”, osserva sempre Giuliano Noci. “La Cina confina con la Russia per circa quattromila chilometri. Un fronte così ampio progressivamente indebolito non è visto di buon occhio dal Paese del Dragone. Diciamo che la Russia non deve essere un alleato né troppo forte, né troppo debole, ma utile sotto il profilo geopolitico. Per dirla in una battuta, la Russia può essere un “junior partner” della Cina”.
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